sabato 2 febbraio 2008

In ricordo di Gino


Oggi ricorre l’anniversario della nascita di Luigi “Gino” Veronelli, un grande dell’enologia e della gastronomia italiana, scomparso il 29 novembre di quattro anni fa. Io non l’ho conosciuto di persona e come autore e critico solo in maniera postuma, nel senso che negli ultimi anni della sua vita io mi stavo solo avvicinando al mondo dell’enogastronomia e non ho potuto apprezzarlo o valutarlo criticamente come avrei potuto. Poi però ho letto molto di lui, visto che più o meno tutti i big di questo strano e complesso mondo lo citano e lo ricordano con piacere. Sicuramente non era un pacioso né un diplomatico, ma direi che questa è una cosa da apprezzare se gli argomenti sono portati avanti a ragione. Anche se poteva non piacere, ha lasciato comunque una traccia indelebile nell’enogastronomia e per questo mi sembra giusto che il Melmo lo ricordi. Il pezzo è tratto un po’ da wikipedia e un po’ da un articolo di Pierluigi Saurgnani, che tra i molti che ho letto mi è sembrato il più bello.



Gino, pensandoci bene, poteva nascere solo a febbraio. Gli altri mesi sono del tutto allineati nella loro consequenziale normalità. Febbraio no, si allunga e si accorcia, vive in perenne antitesi col resto dell'anno, è anarchico, controcorrente e terribilmente scomodo. Com'era Gino.
In gioventù aveva fatto studi di filosofia e si era dato all'attività politica: si professava anarchico e considerava la proprietà un furto ma, subito dopo, specificava: «Sono anarchico dell'unica anarchia possibile, quella cioè che prevede l'assunzione di responsabilità nel rispetto di se stessi e degli altri. Chi dice che l'anarchia è disordine, commette un falso grossolano». Nel 1956 inizia l'esperienza di editore (che lo porterà a dilapidare quasi tutta l’eredità paterna), pubblicando riviste e traducendone altre.

Nel 1959 diventa (e lo rimarrà per vent'anni) collaboratore de Il Giorno. Vista la sua grande passione per gli studi filosofici e sociali, chiese al direttore del neonato quotidiano milanese, Italo Pietra, di poter scrivere di questi argomenti, ma il capo obiettò: «Abbiamo già importanti filosofi e sociologi come collaboratori su questi temi. Tu non hai qualche altra passione?». Il giovane Veronelli spiegò al direttore che uno dei suoi piaceri più grandi era quello di scoprire e assaggiare i prodotti della terra. Pietra gli diede l'incarico di occuparsene immediatamente. Nacquero così i primi reportage di Veronelli nelle campagne di tutta Italia, inchieste che ebbero risonanza sulla stampa estera. «Bere vino - spiegava - per me è come ascoltare un racconto, è il compagno privilegiato di un uomo. Per il cibo non è esattamente così, anche se sono contento che oggi vi sia più attenzione ai cibi genuini e si riscoprano i prodotti di una volta. Sono, in fondo, i valori che cantava Lucrezio, l'armonia con la natura. Il vino, però, ti ricorda la storia, la cultura di una terra, la fatica dei contadini che l'hanno prodotto. Il vino, a differenza di un frutto, si ripete e ti regala la gioia del "gusto del gustato".
E non è vero che il vino annebbia sempre la mente: Galileo, a un amico che gli aveva regalato una damigiana, ringraziò dicendo che il vino non solo era buono ma lo aveva anche aiutato a risolvere un problema che prima gli sembrava complicatissimo. Diceva anche che un assaggio di Brunello di Montalcino gli ricordava Gustav Mahler. E sulla storica guerra del vino tra Italia e Francia diceva: «Nelle bollicine vincono i francesi. Lo champagne è un gradino più su del nostro spumante, perché ha una terra con una marna di grandissima profondità. Nei rossi, invece, siamo superiori noi». Mentre non considerava i prodotti del nuovo mondo enoico, e cioè i vini australiani, cileni, californiani e sudafricani: «Non esistono. Sono monotoni, si tratta sempre dei soliti 3-4 vitigni: Chardonnay, Merlot, Cabernet-Sauvignon, Syrah. Non c'è confronto con i 2 mila vitigni italiani». L'attività giornalistica lo impegnerà per tutta la vita, e i suoi articoli, di stile aulico, ricchi di neologismi e arcaismi, caratterizzati da uno stile provocatorio, faranno scuola nel giornalismo enogastronomico e non. Tra le collaborazioni giornalistiche vanno ricordate le seguenti testate: Corriere della Sera, Class , Il Sommelier, EV, Carta, Panorama, Epoca, Amica, Capital, Week End, L'espresso, Sorrisi e Canzoni TV, A Rivista Anarchica, Travel e Wine Spectator, Decanter, Gran Riserva ed Enciclopedia del Vino, The European. L'apparizione televisiva ne aumenta notevolmente la fama; in particolare A tavola alle 7, in cui conduce il programma prima a fianco di Delia Scala poi di Ave Ninchi, e il suo Viaggio Sentimentale nell'Italia dei Vini, dove realizza l'aggiornamento, provocatorio e di denuncia, della viticoltura italiana.




La sua attività di ricerca e di approfondimento nel campo enogastronomico lo porta alla pubblicazione di alcune opere fondamentali, anche di carattere divulgativo. Da segnalare: Vignaioli Storici, Cataloghi dei Vini d'Italia, dei Vini del Mondo, degli Spumanti e degli Champagne, delle Acqueviti e degli Oli extra-vergine, Alla ricerca dei cibi perduti. Fondamentale anche la collaborazione con Luigi Carnacina, maître celeberrimo. Ne nascono, ad esempio, La cucina italiana e Il Carnacina.

Nel 1990 fonda la casa editrice "Veronelli editore "col puntuale obiettivo di approfondire la classificazione dell'immenso patrimonio gastronomico nazionale e contribuire ad accrescere la conoscenza delle attrattive turistiche del paese più bello del mondo".

Collabora con Derive\Approdi scrivendo le prefazioni ad alcuni libri di carattere storico,politico e gastronomico. L'intenso rapporto epistolare sulle pagine di Carta con Pablo Echaurren costituisce un forte stimolo di riflessione sulle questioni legate alla Terra e alla qualità della vita materiale per il movimento contro la globalizzazione. Negli ultimi anni dà vita insieme ad alcuni centri sociali al movimento Terra e libertà/Critical wine. Sempre di questi anni le battaglie per le Denominazioni Comunali (De.Co.), una salvaguardia dell'origine di un prodotto, e per il prezzo-sorgente, cioè l'identificazione del prezzo di un prodotto alimentare all'origine, per rendere evidenti eccessivi ricarichi nei passaggi dal produttore al consumatore.


«
Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale
»: è una delle tante massime di Luigi Veronelli. Uno dei suoi punti fermi, una delle sue tante battaglie. Vinte e perse. Vinta quella cinquantennale per il vino di qualità, perché la produzione italiana, in mezzo secolo, ha fatto passi da gigante, e ciò grazie anche a Veronelli; vinta anche quella volta a educare gli italiani al gusto e al buon bere; persa, invece - come ammetteva lui stesso - o, comunque, ancora in corso, quella per l'olio di qualità. Una crociata, quest'ultima, intrapresa in tarda età, andando a cozzare contro gli enormi interessi delle multinazionali del settore agroalimentare. Aveva addirittura guidato una marcia in Puglia, sulle banchine del porto di Monopoli, per impedire lo sbarco di oli (anche di nocciola o di arachidi) provenienti dai Paesi nordafricani e poi spacciati sul nostro suolo come extravergine d'oliva italiani. Negli anni '70 aveva anche subito una condanna di sei mesi di detenzione per aver istigato i contadini piemontesi alla rivolta, occupando la stazione di Santo Stefano Belbo per protestare contro i nuovi disciplinari che favorivano la grande industria del vino penalizzando i piccoli produttori.
Se n'è andato vicino agli ottanta, ma il suo desiderio era quello di arrivare a cent'anni: «Così - diceva - scriverò un libro che intitolerò "Un secolo divino"», con quell'aggettivo, ovviamente, non scelto casualmente.

Negli anni ruggenti - confessava senza il minimo turbamento - era arrivato a fare assaggi (era il suo lavoro, del resto) equivalenti a quattro bottiglie al giorno; poi, con l'avanzare degli anni, aveva ridotto la dose «senza però - precisava - scendere sotto i dieci bicchieri quotidiani». Ed è arrivato vicino agli ottant'anni. Diceva che la resistenza all'alcol è soggettiva, ma comunque riteneva che la dose giusta era quella seguita dal fratello gemello che non andava oltre i due bicchieri a pasto. Tra il serio e il faceto, aggiungeva di considerare gli astemi dei «malati» ma non incurabili: «Possono sempre guarire dal loro malanno. Basta iniziare con un Moscato d'Asti, un Bardolino o un Valpolicella leggero». Lui, invece, aveva esordito a nove anni con una Barbera di 14 gradi, proseguendo sulla stessa linea per altri settanta. Era chiamato il «principe» dei giornalisti enogastronomici ma lui si schermiva e diceva: «Sono solo il più vecchio». La sua autorevolezza era, però, indiscussa, e un suo parere valeva dieci volte quelli degli altri esperti. E diceva cose di buon senso: «Ho visto che vi sono bottiglie di vino rosso anche da 250 euro, ma io penso che una bottiglia anche del vino più pregiato non debba costare più di 25 euro». Qui, purtroppo, è rimasto inascoltato da produttori, commercianti e ristoratori. Veronelli era il nume tutelare del buon vino italiano, ma alla domanda su quale fosse stato il miglior vino da lui assaggiato nella sua vita, aveva risposto: «Un Porto, bevuto all'età di 26 anni...», non mancando di suscitare, dopo aver pronunciato queste parole, un po' di stupore fra i presenti, anche se subito dopo aveva aggiunto: «...che mi era stato offerto da una splendida portoghese».
Svelando così l'arcano.

Ciao Gino.

Stefano.

1 commento:

  1. Ciao, volevo ricordare a tutti gli appassionati di enogastronomia che e' on line il portale sulle denominazioni comunali al sito www.infodeco.it
    News, articoli, rasegna stampa e aggiornammenti quotidiani dei Comuni che adottano la De.CO.
    Venite a trovarci!

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