giovedì 31 gennaio 2008

Sense of Wine 07


Dal 30 novembre al 2 dicembre si è svolta la terza edizione del “Senseofwine”, l’appuntamento organizzato da Luca Maroni con le 300 aziende vitivinicole italiane selezionate dalla sua guida. La location dell’evento è stata l’Auditorium Parco della Musica, una bellissima struttura progettata da Renzo Piano nelle vicinanze del centro cittadino.
Io ci sono andato l’ultimo giorno, la domenica, speranzoso che le partite e il clima rigido potessero sconsigliare le persone ad uscire da casa. Tutt’altro: alle 17 era già affollatissimo e progressivamente si andava riempiendo sempre di più. A questo punto mi viene da pensare che possano vacillare gli importanti numeri della seconda edizione, che avevano visto la partecipazione di circa 500 operatori del settore e di oltre 22.000 visitatori.



La rassegna si è svolta nei 4.500 mq messi a disposizione nell’Auditorium e sviluppati su due piani: al piano terra tutti vini del nord e parte della Toscana, mentre a quello inferiore la restante parte della Toscana e il resto del centro-Italia.



Se dovessi valutare il punto di vista promozionale per le aziende, e lo dobbiamo fare per deformazione professionale, dovrei dire che non tutti si sono dimostrati all’altezza del compito. O forse farei meglio a dire che alcuni hanno sottovalutato l’opportunità. È vero che c’erano diverse case importanti a prescindere dalla rassegna, ma il contatto con il pubblico è importante come lo è il loro giudizio, soprattutto per chi come me mette il consumatore al centro dei propri ragionamenti. Ho notato parecchie assenze, supplite da sommelier solo a tratti all’altezza e sovente poco materiale promozionale e spesso confuso. Qualcuno ha rimediato con brochure fotocopiate, qualcun altro con bigliettini da visita, ma sicuramente si poteva fare di più da questo punto di vista. Tra l’altro in qualche occasione mi è mancata la possibilità di assaggiare il prodotto di punta di qualche casa perché “esaurito”. Se qualcuno si rivedesse in queste affermazioni forse un dubbio farebbe bene a farselo venire….




Veniamo ai vini, cercando di dare spazio a quelli che mi hanno più impressionato in positivo. Ho assaggiato una eccellente Barbera 2004 Sant’Emiliano dei Marchesi Incisa della Rocchetta. Un po’ meno buono il Valmorena, che è il prodotto base. Meno interessante è risultato il Barbera Superiore delle Cantine del Nebbiolo che tuttavia ci ha presentato un Arneis molto più che discreto: l’Arneis non è un vino immediato da capire, almeno a mio giudizio. Questo si presentava ampio al naso e alla bocca e decisamente ben riuscito. Un prodotto che mi ha molto colpito in positivo, forse il più buono assaggiato durante la rassegna, è il Pinot Nero de La Fusina. Un uva difficilissima ma un grandissimo risultato. Sempre al nord, mi ha colpito Italo Cescon, che devo dire conoscevo più per gli spumanti. Invece un Raboso affascinante nei sapori, sicuramente elegante in bocca. Meno nelle mie corde l’Amaranto ’72, un mix di Cabernet Sauvignon e Franc, Merlot e Marzemino. Ultimo nordico ma non meno importante il Collio di Isidoro Polencic. Ero alla fine del giro, e quindi condizionati dalle altre degustazioni, ma mi è sembrato un prodotto abbastanza valido.




Scendendo un po’ più in basso un buon Nobile di Montepulciano è risultato quello di Carpineto in un banco insolitamente poco frequentato. L’azienda Tenuta Prodenovo ha catturato la mia attenzione con due vini: il Teuto (Sangiovese e Merlot) e l’Aliotto (Sangiovese, Cabernet e Merlot). Sicuramente più beverino il secondo, scorbutico ma a tratti fortemente desiderabile il primo. In Umbria, sopra le righe il Sagrantino di Montefalco di Terre della Custodia, anche se a giudizio mio ancora manca per raggiungere i livelli di Caprai e Colpetrone. Quest’ultima tra l’altro era presente, ma senza l’esaurito (ahimè) Sagrantino. Mi sono rifatto con un ottimo Montefalco Rosso, anche se la bocca resta asciutta proprio per il desiderato Sagrantino. A Colpetrone, comunque, va l’oscar della brochure più bella e quindi gli ho perdonato la mancanza del nettare. Nelle Marche una grande figura la fa sempre Velenosi, il cui Verdicchio rimane sui soliti elevatissimi standard e di cui ho provato uno chardonnay da rivedere ma con potenzialità. Nel Lazio oltre al sempre ottimo Baccarossa di Poggio Le Volpi, ho apprezzato la conferma nelle guida ma al contempo anche la crescita della cantina nettunese I Pampini: il Coboldo (Merlot) di quest’anno è da provare: ampio e intenso al naso, fruttato e strutturato in bocca. Di loro, mi sia consentita una piccola parentesi, conservo un gran ricordo del Maroso 2005 (uve Bellone) assaggiato quest’estate: uno straordinario bianco che al naso sembrava quasi un vino da meditazione mentre in bocca era giustamente secco.




In Campania ho molto apprezzato il Taurasi di Cantine Russo, profumatissimo e amplissimo nel bouquet floreale al naso, e soprattutto l’Aglianico del Taburno della Fattoria La Rivolta: uno dei migliori agli aglianici bevuti quest’anno. Infine in Sicilia, da cui mi aspetto sempre molto, ho desisitito agli eccellenti (ma conosciuti) Firriato Sant’Agostino e Planeta mentre ho potuto assaggiare un eccellente “Ardenza” di Tenuta Cottanera. Dopo il Pinot Nero, il vino più buono assaggiato durante la rassegna.



Qualcuno per folla e per poter tornare a casa l'ho dovuto necessariamente saltare, quindi prendete questa recensione con il beneficio di inventario, ma resta il fatto di un evento interessante anche se confusionario, dove spero sempre più le case si interessino a tutti i consumatori, non aspettando solamente il ristoratore o il proprietario di enoteca.

Stefano

mercoledì 30 gennaio 2008

Fattoria dei Barbi.

Dopo quasi tre ore di viaggio, dopo un caffee preso al volo e l'ultima mezz'ora ad orientarci facendo il collage delle vecchie cartine stradali che avevamo portato...compare l'indicazione-freccia della Fattoria dei Barbi.
Mentre saliamo la stradina sterrata un occhio ci sfugge nel guardare il sole illuminare le vigne sottostanti.
I colori giallo e amaranto la fanno da padroni e mettono un po' di sana malinconia, il fenomeno della natura che si appresta al lungo letargo invernale ci dice che, in fondo, questo mondo non sarebbe poi così bello se fosse sempre estate.



Tramontana sferzante ci accoglie sul parcheggio, non molto grande, della Fattoria.
Entriamo nella sala d'aspetto delle visite e avendo costeggiato l'ottima sala da pranzo della Fattoria ci viene subito un po' d'appetito.
Ma adesso non è il momento di mangiare, siamo qui per visitare questo nome storico di Montalcino ed assaggiare qualche vinello di loro produzione.



La cortesia non è un optional qui alla Fattoria dei Barbi e la puntualità ci va quasi a "braccetto": la visita comincia solo con dieci minuti di ritardo.
Io , Stefano, Bob e mio babbo (imboscatosi all'ultimo minuto disponibile con noi) visitiamo la Cantina con altre due coppie di ospiti e con un gruppo-famiglia a stelle e striscie per cui la signora, che ci farà da guida,dovrà sciorinare tutte le info della Cantina, ad ogni tappa,in un inglese tanto fluente quanto maccaronico.



Interessante è tutta la prima parte che ci fa girare e rigirare in mezzo alle immense botti di Slavonia ed in mezzo alle piu' piccole barrique.
Tra il rasserenante aroma di sangiovese è normale fare domande e togliersi qualche curiosità, la signora con molta calma ed altrettanta passione risponde ai nostri e agli altri quesiti.



Bella è anche la ricostruzione storica di questa famiglia e di questa cantina.
La guida la spiega con molta diligenza, soffermandosi, in particolar modo, sulle volte che tra il fare vino e qualcos'altro si è sempre deciso per la prima opzione.



La seconda parte della visita invece si snoda sulla parte della Cantina ove riposano le bottiglie pregiate prodotte dalla Cantina stessa.
Ce ne sono un po' di tutte le annate "buone".Opportunamente messe al riparo dalle umane intemperanze, ce ne sono anche di antiche e di antichissime.
E' comunque bellissimo poter rimanere qualche minuto in silenzio in mezzo a tanta bontà ben conservata...



E poi la "passeggiata" continua attraverso quelle parti della Cantina una volta importanti ed adesso meno.
Piccole "stanze" che fungevano da dispensa oppure altri piccoli spazi dove già all'epoca venivano ricevuti gli ospiti che volevano visitare l'Azienda.
Sui muri e sulle pareti abbelliscono l'ambiente oggetti ormai datati, ma una volta
di primaria importanza insieme a piccoli versi di poeti che tributano a Bacco il giusto riconoscimento.



Giunti alla fine della visita vera e propria si passa agli assaggi dei vinelli della Casa.
E questa purtroppo è la nota dolente del posto.
Ci vengono fatti assaggiare con quantità infinitamente piccole due vini:Il Brunello di Montalcino anno 2002 e il Birbone anno 2003.
Soltanto dopo una nostra insistente richiesta ci viene dato (un bicchiere in quattro...) un piccolo assaggio del Brusco, vino base della Fattoria.
Il tutto in uno spazio ristretto, in piedi e, scusate se sono un po' romantico, senza un minimo di...poesia.
Ci sarebbe da appuntarsi qualcosa sui vini, ma scusate se il block notes è rimasto chiuso e così su due piedi ci ricordiamo che il Brunello non ci ha convinto ed il Birbone neanche.
Pertanto alla cassa compriamo soltanto un Brusco 2006 ed un Rosso di Montalcino 2005 a testa.



In conclusione una bella esperienza Cantinesca da ricordare, i vini della Fattoria un po' meno, ma d'altronde non tutte le ciambelle escono con il buco...


Marco.

martedì 29 gennaio 2008

In Inghilterra il vino in corsia di sorpasso...

Fonte Ansa del 21/11/2007.
MENO BIRRA, PIU' VINO: RIVOLUZIONE NEI PUB INGLESI

ROMA - La birra sembra perdere l'arena di consumo più tradizionale: il pub inglese. Dove le ordinazioni di pinte sono scese al minimo storico (-49%) dal 1979 e il vino si afferma come 'nuova tendenza del bere' oltremanica. A monitorare "la rivoluzione in atto" nei locali più amati dalla working class britannica, come testimoniano numerosi film di Ken Loach, è proprio l'Associazione dei pub e dei birrai del Regno Unito che attesta l'argine ai fiumi di birra per "un'evoluzione del gusto inglese verso il vino. Al punto che il consumo in Gran Bretagna potrebbe superare entro il 2010 quello dei francesi e degli italiani, in termini di budget destinato agli acquisti nel mondo di Bacco".

"Gli inglesi stanno bevendo meno birra, ma meglio - commenta il general manager della Worldwide Sommelier Association e presidente dell'Ais di Roma Franco Maria Ricci - perché si è superata la fase di massiccio consumo nei popolari luoghi di ritrovo british. E il vino, da prodotto di nicchia, cresce perché lì si è cominciato a promuovere l'enocultura. Per gli inglesi il vino italiano di qualità ha richiami culturali forti a paesaggi fascinosi e ai luoghi d'arte. E anche in Italia - afferma Franco Mario Ricci - i sommelier stanno riempiendo di vino alcuni qualificati pub e incontrano un 34% di giovani sotto i 24 anni nei 100mila iscritti ai corsi dell'Ais Roma. Giovani che parlano con sempre maggiore cognizione di vino. Ed è alle nuove generazioni, nei loro luoghi di ritrovo - auspica il presidente dell'Ais Roma - che le istituzioni dovrebbero rivolgersi per promuovere la cultura del vino e il consumo consapevole".

Il Regno Unito è un piccolo produttore in crescita nel panorama enologico internazionale, con 3 milioni di bottiglie prodotte nel 2006 rispetto ai 2 milioni del 2005. Ma, superando gli australiani molto competitivi sul prezzo, "é l'export di vini Made in Italy a sfiorare un incremento del 19% rispetto al 2006 - secondo una stima della Coldiretti su dati Istat - per un valore che a fine anno potrebbe avvicinarsi al mezzo miliardo di euro. Si tratta di un trend positivo per il vino italiano che, conquistando Paesi non tradizionalmente consumatori, dimostra nuove e rilevanti opportunità di crescita, nonostante l'aumento delle accise nel mercato anglosassone. Complessivamente il vino Made in Italy - rileva Coldiretti - ha raggiunto un fatturato record di 9 miliardi di euro, 3,2 dei quali attraverso l'export, con quasi il 60% della produzione destinata ai 484 vini nazionali Doc, Docg e Igt".

E la marcia in più del vino italiano trova conferma nell'analisi di Unione Italiana vini (Uiv), su dati Istat: "Dopo Stati Uniti e Germania, il Regno Unito - sottolinea l'Uiv - si configura come 3/o mercato in valore (287 milioni di euro, nei primi otto mesi del 2007) per il vino italiano, in aumento nell'ordine delle due cifre, il 18,6%". Con volumi di export, precisa inoltre l'Ismea, che "salgono del 16,8%, da 149mila a 174mila tonnellate".




Oddio un inglese che non beve piu' birra non riesco proprio ad immagginarlo, certo questi dati sono abbastanza sorprendenti per chi vive di luoghi comuni e stereotipi.
Bizzarrie inglesi a parte è molto bello questo avvicinamento del popolo d'oltre manica al vino e alle Cantine Italiane, porta anche un bel po' di eurucci...
Forse l'aspetto che piu' mi ha sorpreso è la quantità di bottiglie che già sono arrivati a produrre:circa tre milioni con un incremento del 50% rispetto all'anno precedente...bah !
Non mi è certamente venuta voglia di bere il vino inglese, ma una passeggiatina per vedere dove hanno situato le vigne me la farei volentieri, e Voi ?

lunedì 28 gennaio 2008

Chardonnay - Casale del Giglio

L'ho bevuto qualche volta ma non mi ha convinto.
Dalle premesse, specie dalla riuscita dell'Antinoo, mi aspettavo abbastanza da questo Chardonnay in purezza ma invece quello che ho bevuto io (il 2005) non mi è piaciuto molto.



Dal colore giallo paglierino moderatamente carico e dal tipo di uva, mi aspettavo grandi profumi che invece solo in parte ho riscontrato. Frutta gialla e qualche fiore ma (anche un po' per il bicchiere poco adatto) il bouquet sembrava poco ampio e poco intenso, anche in movimento. Alla bocca il sapore era decisamente poco chardoneggiante e sembrava che ci avessero aggiunto del trebbiano. La freschezza acidica poco presente, molto più forte la sapidità che però stonava in mancanza della prima. Poco persistente.

Da rivedere. In enoteca costa sui 7 euro.

Stefano

sabato 26 gennaio 2008

Ti prendo e ti porto via, di Niccolò Ammaniti.


Continua il mio viaggio nel mondo terribilmente vero che racconta Niccolò Ammaniti. Questa volta tocca a “Ti prendo e ti porto via” libro pubblicato nel 1999.

La storia.
Pietro Moroni e Gloria Celani ono due studenti della scuola media di Ischiano Scalo che si conoscono da quando avevano 5 anni. Graziano Biglia è un quarantenne latin-lover che torna a Ischiano Scalo dopo due anni di assenza. Flora Palmieri è la professoressa di italiano di Pietro e Gloria. Accanto a loro, tutta una serie di personaggi (compagni di scuola, genitori e fratelli, bidello, poliziotti, amici di infanzia) ruotano attorno alla storia che inizia con la bocciatura di Pietro per raccontarne poi cause e soprattutto conseguenze.

Inutile dire quanto mi abbia preso anche questa narrazione. È un intreccio di tanti generi: ci sono storie d’amore molto passionali, problematiche sociali e il solito tocco noir.
Questo libro, come sembra dire il titolo, ti prende e fa di te quello che vuole. Io l’ho letteralmente divorato durante i 4 voli e relative soste in aeroporto del mio viaggio di lavoro in Romania.
Gli “stereotipi” dei personaggi sono così reali che difficilmente non si riesce a pensare per ciascuno di essi ad una persona che si conosce. La cosa che mi ha colpito più di tutti è che proprio per questo, quando pensi di conoscere un personaggio e capirne in anticipo le mosse, Ammaniti ti spiazza e gli fa fare qualcos’altro. L’azione topica che alla fine compie Pietro e che porta al finale è strepitosa, come pure il modo in cui viene descritta. È talmente semplice nella sua razionale follia che io mi sono trovata a pensare a quanto poco ci voglia perché le nostre azioni che apparentemente sono le più banali possano cambiarci di netto la vita in un prima e dopo quel determinato fatto. Il tutto con la consapevolezza che tutto dipende dal nostro arbitrio.

Decisamente il migliore dei libri di Ammaniti che ho letto fino ad ora; un 9 ½ contro gli 8 pieni degli altri (mi riservo il 10 perché so che ancora questo ragazzo mi può stupire)….adesso mi procuro “Io non ho paura”.


Ti prendo e ti porto via, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, prezzo 8,40 Euro

Emanuela.

venerdì 25 gennaio 2008

Ancora per Sofia!!

Ancora bimbi e sane risate!




Stefano

L'Isola di Santorini ed il suo vino.



Quante volte si rimane incantati con il naso all’in su nel vedere vigne che si arrampicano su pendii vertiginosi oppure vigne in quota e di montagna.
Vi è mai capitato di vedere da dietro il vostro finestrino vigne coltivate su suoli magri di isole arse dal sole e battute dal vento ?
In ogni angolo del mondo c’è qualche vigneto ai limiti dell’impraticabilità, in luoghi difficili, in condizioni ostili al lavoro dell’uomo.
Attraverso la forza e la costanza , talvolta si è riusciti ad offrire ai vitigni la possibilità di dare tutto il loro carattere , dimostrando la straordinaria capacità di adattamento della vite e l’intelligenza ostinata dei produttori.

Il sommo poeta greco Odysseus Elytis la defini’:”figlia di una collera divina.”
Di cosa parlo? Dell’isola Santorini, l’antica Thèra, l’ultima,la più meridionale delle Cicladi.
Da un lato, una falesia a strapiombo sul mare; dall’altro , un pendio arido, quasi senza alberi, con un suolo vulcanico sabbioso molto povero di argilla, trattenuto da terrazzamenti a muretti.
Il sole è bruciante, il vento carico di sabbia, di sale e di iodio.
L‘isola greca dell’arcipelago delle Cicladi, conta circa 10000 abitanti ed insieme a Thirasia e a Kameni ed è cio’ che rimane di un vasto cratere vulcanico, scomparso a causa di una gigantesca esplosione avvenuta nel XVI secolo a.C., con conseguenze devastanti per tutto il Mediterraneo orientale.
L’intorno mozzafiato fa di Santorini un ‘isola eccezionale, visitata da migliaia di turisti ogni estate.
L’isola ha caratteristiche uniche al mondo: le sue vigne possono essere considerate le più antiche dell’intera Grecia con i loro 3000 anni di vita.
Tutte le viti sono autoctone ed hanno in media 60-70 anni, molte sono ultracentenarie e sopravvivono soltanto perché “vivono” in apposite conche scavate nel suolo dall’uomo.




Sottoposte ad un clima molto arido di precipitazioni hanno le loro radici nel terreno sabbioso, poco argilloso e costituito da lava essiccata e sedimenti vulcanici in generale.
L’unica umidità che le piante ricevono è quella delle nebbie estive.
In questa situazione la resa è molto bassa e si attesta intorno ai 28\32 ettolitri per ettaro.
I primi a fare il vino sull’isola sono stati ovviamente i greci, ma da subito il prodotto veniva contrassegnato con un nome ben preciso che ricordava la provenienza del nettare.


Oggi la produzione moderna, grazie agli sforzi di produttori ed agricoltori isolani, è di ottima qualità.
L’uva , al 95% bianca, da un succo dai profumi e gli aromi estremamente concentrati.
Il vino in assoluto più tipico è quello che fu chiamato dai Veneziani Vinsanto.
E ciò perché nel corso del 1200 fu donato al Papa ed utilizzato per ufficiare la santa messa.
Il Vinsanto si gusta ben freddo a fine pasto accanto al dessert; prende vita da uve leggermente appassite, dall’inconfondibile colore giallo caramello.
Da una miscela di uve, la Assyrtico, la Athiri e la Aidani, nasce il Nykteri, un bianco secco ugualmente tradizionale dell’isola.
Il suo affinamento avviene in botti di rovere e a seconda del periodo dell’affinamento si può gustare con diverse pietanze.
Se esso è breve con tutta la serie di antipasti di mare, altrimenti va bene con pesce arrosto, molluschi e crostacei.

Molto di più di quello che vi posso raccontare lo potete scoprire nel bellissimo museo Knoutsogianopolulos dedicato proprio alla storia del vino .
La costruzione di questo museo, unico al mondo perché si districa dentro 300 metri di gallerie che scendono fino a cinque metri di profondità, ha richiesto circa vent’anni.
Oggi, visto l’interesse che desta, è ancora in allargamento ed all’interno si possono degustare e comprare vini e prodotti tipici dell’isola.

giovedì 24 gennaio 2008

Non c'è 2 senza 3: BENVENUTA SOFIA!!



Stefano

Info utili sul Barbaresco.

Visto che sono sempre molti gli enoappassionati che passano a trovarci, ho pensato che non fosse sbagliato dare qualche consiglio sugli acquisti.
In questo caso le info riguardano il vino Barbaresco, nebbiolo 100% a cui presto sarà dedicata una bella ricerca.
Nell'attesa, oppure nel frattempo fate voi, leggete questa paginetta e se non avete buona memeoria stampatela e fate come me, portatevela sempre dietro chiusa nel portafoglio.
Servirà a fare qualche acquisto sensato e non farsi prendere troppo in giro...




Annata Voto Giudizio del Consorzio del Barbaresco.


2003 ***** Vini di gran corpo ed eleganza.
2002 *** Vini di buona ampiezza ed armonia.
2001 **** Vini di grandi armonie e buona struttura.
2000 ***** Vini splendidi per struttura ed armonia.
1999 ***** Vini di ampia struttura e gran corpo.
1998 ***** Vini di grande struttura e longevi.
1997 ***** Vini di ampia struttura e gran corpo.
1996 ***** Vini di ottima struttura ed ampio profumo.
1995 **** Vini di buona struttura ed eleganza.
1994 ** Vini delicati e di struttura contenuta.
1993 **** Vini di buona struttura ed ampiezza.
1992 ** Vini delicati, non molto ampi.
1991 *** Vini di discreta eleganza, poco longevi.
1990 ***** Vini eccellenti per ampiezza ed eleganza.
1989 ***** Vini splendidi per struttura ed armonia.
1988 ***** Vini di grande ampiezza ed eleganza.
1987 *** Vini di discreta struttura e longevità.
1986 **** Vini di buona struttura e longevità.
1985 ***** Vini grandi, eleganti e longevi.
1984 ** Vini delicati, armonici, eleganti.
1983 *** Vini di buona ampiezza ed armonia.
1982 **** Vini di grandi strutture e longevi.
1981 ** Vini di medio livello, senza acuti.
1980 *** Vini di buona pienezza ed armonia.
1979 **** Vini di grandi armonie e buona struttura.
1978 **** Vini grandi, ampi e persistenti.
1977 * Vini magri, poco resistenti al tempo.
1976 ** Vini di medio livello, senza acuti.
1975 *** Vini delicati, ma gradevoli.
1974 **** Vini di buona struttura e persistenza.
1973 ** Vini di media ampiezza ed armonia.
1972 - Non prodotti.
1971 ***** Vini splendidi per armonia e struttura.
1970 **** Vini di grande ampiezza e persistenza.
1969 *** Vini di buona struttura, equilibrati.
1968 *** Vini di media grandezza, gradevoli.
1967 **** Vini di ottima struttura e molto profumati.
1966 * Vini di livello medio, senza acuti.




Marco.

mercoledì 23 gennaio 2008

Benvenuta Sofia...e 2

Di nuovo BENVENUTA SOFIA! Stavolta...con due risate!!!

Stefano

Profumi e ambient marketing: nuova frontiera per vino e cibi?

Quale suggestione ha un potere più evocativo e al contempo più misterioso dell’olfatto?
L’elaborazione delle sensazioni olfattive e la loro associazione a situazioni ed eventi del passato
si caratterizzano per il fatto di avvenire per lo più a livello inconscio, quando invece la
percezione legata ad altri sensi come la vista e l’udito comporta processi di analisi e
rielaborazione più razionale ed "evidenti". Un messaggio odoroso può causare reazioni di diverso tipo (piacere, ribrezzo, eccitazione, noia, rifiuto) senza che il nostro cervello sia cosciente di ciò. Perciò un odore è sempre carico di emotività, facilmente rimanda ad esperienze vissute.
Da questo punto di vista, si parla spesso di memoria olfattiva per indicare come i ricordi legati all’olfatto che risalgono all'infanzia così come quelli legati a vicende emotivamente molto
coinvolgenti siano i più potenti nella loro capacità di suscitare sensazioni gradevoli, oltre che i
più facili da riattivare poiché la loro forza dipende dall'importanza che ha avuto la situazione incui l'odore è stato percepito nel processo d'apprendimento delle persone.



Il fascino, il mistero e le grandissime potenzialità di questo straordinario talento, di cui
qualcuno di superiore ci ha dotato, ha stimolato e scatenato genialità e artisti del passato e
presente, generando, soprattutto in ambito letterario, capolavori e contributi di altissimo
valore, dove alla percezione degli odori è associato un significato palese o nascosto ma sempre
suggestivo. Si pensi a "La Montagna Incantata" di Thomas Mann, dove l'odore del sanatorio diDavos è talmente ben descritto che sembra di poterlo percepire nelle narici, oppure a "MadameBovary" di Flaubert, dove i dolci ricordi di Emma sono evocati dai profumi del vento e dei lillas,passando per Theophyle Gautier, che si affida agli antichi odori e allo loro solidità perché loaiutino "a trasporre la sua anima" aiutandolo nell’elaborazione di ricordi pesanti, senza infinedimenticare l’abilità letteraria di Harris Joanne, nel deliziare il lettore attraverso le descrizionidelle vetrine imbandite di peccati al cioccolato che spopolano nel best-seller "Chocolat".







Il panorama, ça va sans dire, non è tutto qui, essendo riccamente variopinto dai contributi di
Marcel Proust, Pierre Loti, Oscar Wilde, per citarne alcuni, ma anche dei nostri Gabriele
D'Annunzio, Umberto Eco, Italo Calvino – che tra l’altro nel racconto "Il Nome, il Naso",
immaginava un uomo futuro senza naso, privo della capacità di distinguere odori e profumi –
sino ad arrivare al contemporaneo Andrea Camilleri. Non è infine possibile non citare
l’immancabile Freud e la sua scuola, autori di un cult in materia di feticismo olfattivo.




Non è possibile, poi, non citare il più grande dei Poets Maudits, Charles Baudelaire. Baudelaire parla dell'olfatto come di una soffocante potenza
evocatrice e ne esalta poteri e significati ricorrendo spesso e magistralmente a quello che è
divenuto forse il principio fondamentale della sua poetica: la sinestesia, fenomeno percettivo intermodale che consiste nell'associare, all'interno di un'unica immagine, sostantivi e aggettivi
appartenenti a sfere sensoriali diverse. Baudelaire pregna le sue opere di continui ricorsi a
stimolazioni sinestesiche, motivo per cui diventerà un punto di riferimento per tutta la poetica
simbolista. Grazie ad un gioco di intreccio e sovrapposizione di sensazioni, un profumo può
legarsi ad immagini ed esperienze vive ed evocative anche per gli altri sensi in un tripudio di
sensibilità e di armonie:






"Vi sono profumi freschi come carni di bambini,/ dolci come oboi, verdi come
prati,/
- e altri, corrotti, ricchi e trionfanti, // che hanno l'espansione
delle cose infinite,/
come l'ambra, il muschio, il benzoino e l'incenso,/ che
cantano i trasporti
dello spirito e dei sensi"
(Corrispondenze, Charles
Baudelaire)






A partire dagli anni Ottanta si è cominciato ad approfondire anche scientificamente questa tematica, dimostrando come sempre più spesso le scelte di acquisto siano favorite da stati affettivi ed emozionali. Forti di queste premesse, le aziende più sensibili all’argomento ne hanno intuito le potenzialità "rubando" alle aziende produttrici di profumi,deodoranti, detersivi e soluzioni aromatizzanti (le sole che all’epoca ricorrevano a profumi efragranze in quanto parte integrante della loro offerta), quelle strategie miranti ad influenzareil comportamento d’acquisto dei consumatori, stimolandone l’olfatto.Tale orientamento si è inserito, verso la fine degli anni Novanta, nel filone del marketing detto esperienziale, che si distingue dal marketing tradizionale in quanto prende in considerazione una gamma di aspetti motivazionali legati al comportamento d’acquisto apparentemente meno fitting rispetto alla dimensione della razionalità, alle caratteristiche oggettive del prodotto/servizio: parliamo di sensazioni, immagini, sentimenti, piaceri e di tutte quelle componenti simboliche ed edonistiche che, insieme, evocano esperienze e vissuti.



Quindi il flusso di associazioni e di sensazioni che si produce durante l’atto di acquisto (inteso proprio nell’accezione di "piacere") rappresenta un elemento tanto importante quanto la soddisfazione che scaturisce o meno dalla valutazione oggettiva dell’utilità del prodotto. Non solo analisi degli elementi oggettivi e della qualità (nel senso di Kaizeniano del termine) dunque, ma un’attenzione sempre maggiore all’aspetto dell’emotività. Secondo i sostenitori del marketing esperienziale, il ricorso ad una comunicazione fatta distimoli è fondamentale per indurre il cliente all’acquisto, non foss’altro perché in questo modolo si stimola a rivivere, anche solo per un attimo, sensazioni, ricordi, esperienze passate chepotranno verosimilmente contribuire in modo determinante alla scelta (e all’acquisto) di quel prodotto che ha stimolato i propri sensi.




Tale trend legato alla valorizzazione polisensoriale ha visto riconosciuta, nel corso degli anni,
una dignità disciplinare al punto che, dagli anni Novanta ad oggi, l’approccio al marketing
olfattivo è sempre più presente, dal settore business, soprattutto in quello distributivo e
dell’entertainment. Si inserisce all’interno delle nuove strategie/tecniche di "Ambient
Marketing
" che, lavorando a stretto contatto con la psicologia del profumo, perseguono
l’obiettivo di caratterizzare punti vendita commerciali, show room e ambienti espositivi con
soluzioni di fragranze particolarmente evocative e piacevoli, con l’intento di migliorare
l’"esperienza" del cliente rispetto al prodotto o al servizio da acquistare.



In particolare negli ultimi tempi l’industria distributiva si avvale della profumazione ambientale
per ricostruire, anche tramite supporti tecnologici avanzati, una serie di ricordi e immagini
capaci di esercitare sui consumatori un potere psico-fisico positivo aumentando le probabilità
che questi, stimolati dall’ambiente, procedano ad uno o più acquisti.







Alcune grandi case automobilistiche hanno deciso di caratterizzare gli interni di alcuni loro
modelli attraverso fragranze e aromi particolari, diffusi tramite l’installazione nei loro abitacoli
di marchingegni erogatori più o meno sofisticati.
Uno dei più recenti è quello impiegato dalla Citroën, che in dotazione al nuovo modello C4 offreun diffusore di profumo da inserire nel sistema di ventilazione.Disponibile in ben nove diverse fragranze, la scelta dell’aroma èlegata alle caratteristiche della propria personalità: menta emuschio, gelsomino e mimosa, agrumi e passione per i più"vitali"; vaniglia, cannella e zenzero, ambra e legno di sandaloper i più "corsaioli"; fiore del loto, lavanda, ylang e bambù per i più "tranquilli".




In campo musicale, evocativi in questi termini sono stati i concerti del tour ‘Capo Horn’ di Jovanotti, durante i quali furono diffusi cinque odori differenti come sottofondo a cinque canzoni del repertorio del rapper.



In ambito business, una delle applicazioni più interessanti rispetto al marketing olfattivo è
quella legata al marchio aziendale, simboleggiato dal suo logo. Il marchio è un capitale per
l'azienda perché indirizza, facilitandola, la comunicazione con il consumatore, dà garanzia circa
la decisione d'acquisto e procura allo stesso acquirente una gratificazione sociale e personale
nell'uso. Rispetto al marchio, il logo ne è invece la manifestazione "materiale", la sua
immagine intesa come espressione della cultura e del sistema di valori aziendale.
Già in passato, seppur inconsapevolmente, alcune aziende si sono dotate di un logo olfattivo,
facendo attenzione al fatto che l'odore scelto non dovesse solo simboleggiare i valori e la storia
dell'azienda ma anche ottenere un consenso che fosse universalmente riscontrabile. Per evitare
il danno che l’associazione sbagliata fra una fragranza specifica rispetto a determinati prodotti
e un marchio specifico può causare, all’aspetto di creatività si associa il coinvolgimento di due
fattori non scientifici ma indispensabili nella scelta di un aroma piuttosto che di un altro:
l'intuizione e l'ispirazione.



Da uno studio condotto recentemente, è stato rilevato che alla domanda "Cosa evoca in Lei
l’odore della vanillina?" molte persone del campione prescelto non hanno risposto solo "il talco per bebè" bensì il nome "Borotalco" dell'azienda che lo produce. In Francia, l'odore del legno di cedro evoca alle persone interrogate "le matite colorate Crayola". Questo rivela come un odore comune a diversi prodotti diventi automaticamente il logo olfattivo del marchio più venduto nell'inconscio collettivo (si tratta per altro di un meccanismo associativo che funziona alla stessa stregua del concetto di sinestesia).



Il ricorso a fragranze e aromi nel corso di eventi aziendali o nell’ambito di eventi sponsorizzati,
culturali e sportivi, di forte carica emozionale è certamente un artificio molto efficace per
condizionare un target preciso ad una risposta emotiva favorevole o ad una predisposizione
all’acquisto. Sempre più frequentemente gli esperti di Marketing, consci del fatto che gli odori
diventano ricchi di significati nel momento in cui vengono associati ad altre esperienze, eventi,
persone, ricorrono proprio alla strategia di associare al prodotto o all’evento (nei suoi diversi
momenti topici) che si intende promuovere soluzioni aromatiche dalla grande capacità
evocativa per il pubblico cui sono rivolti.









In quest’ottica, Sell with smell è la nuova filosofia nata negli USA che proietta proprio
l’odorato nelle vesti di protagonista nel campo delle vendita. Sono soprattutto le grandi
imprese commerciali del Nuovo Continente a ricorrervi con l’obiettivo di attirare una clientela
nuova e più sofisticata. Tale approccio si basa sull’aspetto di emozionalità dell’olfatto, ovvero la
capacità naturale di evocare sensazioni e vissuti ai quali la "semplice" razionalità non può
evidentemente attingere.



Gli odori sono pertanto dei potenti media grazie alla loro capacità di imprimersi a lungo nella memoria, qualcosa di sottile che agisce sulle sensazioni, insinuandosi silenziosamente nelle preferenze del consumatore. Buoni o cattivi che siano, gli odori rimandano perciò più a delle emozioni piuttosto che a delle conoscenze. Non sono da considerare alla stregua di componenti funzionali degli oggetti, ma piuttosto come elementi scatenanti che diventano stimoli influenti attraverso l’associazione con esperienze, ricordi e stimoli.



"Emozioni profumate", come vengono definiti da molti esperti di comunicazione non verbale,
che stuzzicano l'appetito, invogliano a fare acquisti, "raccontano" uno spettacolo e
rappresentano il gene di partenza dell’approccio simboleggiato dall’Ambient Marketing.
Esistono, soprattutto negli USA, realtà organizzative che hanno fatto del marketing olfattivo il proprio business. Si tratta di società specializzate nella profumazione di ambienti che vantano cataloghi con centinaia e centinaia di note profumate selezionate (dalla polvere da sparo alle rose bulgare) più quelle create ad personam, in base all'effetto desiderato. Garantendo ai propri clienti un servizio "on demand", tali società specializzate favoriscono la creazione di atmosfere distese nei reparti pediatrici, così come la variazione, attraverso la demotica olfattiva, delle atmosfere casalinghe in base alla stagione e alle occasioni d’uso, migliorano le probabilità di contatto e dialogo in luoghi di svago come fitness club e discoteche, stuzzicano l'appetito nei ristoranti, migliorano l’ospitalità negli hotel. Il loro business si spinge fino a caratterizzare profumatamente défilés di grandi nomi del gotha internazionale della moda e a coniare un modo originalissimo di utilizzo degli odori in seno a movie, musical e spettacoli in
genere: la cosiddetta "regia olfattiva", dove profumazioni e odori, in modo del tutto
naturale (senza ricorso a spray) e al pari della scenografia o della colonna sonora, sono inserite
nello svolgimento del racconto, potenziandone la percezione del luogo e il feeling con la trama
che vi si racconta.



Il trend è così diffuso che alcuni ipotizzano che, come da 20 anni a questa parte in materia di
diete e regime alimentari, presto sorgeranno scuole e correnti di pensiero in tema di
educazione olfattiva. Un’abilità che sarà garanzia di grande profittabilità per chi saprà cogliere
il trend ma che permetterà al contempo al consumatore di abbandonarsi ad evocazioni e
richiami che da tempo aveva rimosso o smesso di avvertire.
Quasi un invito ad annusare e… a cogliere l’attimo!







Mi permetto un piccolo commento a margine di questo articolo, tratto da mymarketing.net (a cui ho fatto qualche piccolo lavoro di taglia e cuci) per sottolineare che per noi italiani gli odori sono anche (quando non sopratutto) odori gastronomici: l'odore del cucinato di casa, delle ibite (tra cui il vino) etc. Non credo di sbagliare quando dico che la prima cosa che suscita attenzione nelle cucine esotiche dei paesi stranieri sono gli odori, molto diversi da quelli cui siamo abituati. Si pensi alla cucina cinese, giapponese, messicana, est-europea, etc. Perchè allora non pensare di studiare l'ambient marketing anche per indirizzare un acquisto enogastronomico. Faccio un'esempio: immaginiamoci in enoteca, dovendo scegliere un vino tra alcuni che, per diversi motivi, sono sullo stesso piano. Quanto ci aiuterebbe poterne sentire le fragranze in anticipo?


Stefano

martedì 22 gennaio 2008

BENVENUTA SOFIA!!!



Carissimi Marco e Simona, vi faccio tanti tanti immensi auguri per la felicità che state vivendo che avete dato a tutti noi amici e alle vostre famiglie.

Vi vogliamo bene e insieme ci uniamo al benvenuto alla PICCOLA SOFIA!!!

Anche un caro amico di Marco si è voluto unire agli auguri:


Dai Marco che con la maglia della nazionale fa meno impressione....
Stefano

Brusco dei Barbi 2005 - Fattoria dei Barbi





Un vino che ha diviso, anche profondamente, nel giudizio me e Marco. Io l'ho ritenuto buono, sopratutto in relazione al prezzo (4,9 € in azienda). Era anche sul Bere Bene 2007 del Gambero Rosso e non ho esitato a prenderlo in azienda, anche a causa della delusione sul Brunello 2002 (e del fatto che non ci hanno fatto assaggiare nient'altro oltre al già citato Brunello ed al Birbone).

Tutto sommato, secondo me, si potrebbe definire un parente povero del Rosso di Montalcino. Direi un cugino di secondo grado, visto che i rossi sono quelli che mi hanno più convinto nella nostro enotour nella capitale del Brunello. Però tutto sommato il Brusco si è difeso bene. Bell'aspetto e bel colore, un rosso rubino molto intenso. Al naso veniva fuori un deciso sentore di frutti a bacca rossa nonchè un po' di cuoio, che ho imparato a riconoscere proprio nella gitarella, caratteristico del sangiovese della zona di Montalcino. Il breve passaggio in botte, barrique se non ricordo male, gli da quel profumo balsamico e ammorbidisce quel gusto tannico caratteristico del sangiovese 100%.

Marco, invece, si è trovato in disaccordo. E' un prodotto che secondo lui vale meno di quello che si paga: meno di cinque euro. Quando l'ha assaggiato in cantina da Barbi gli è sembrato migliore, ma dopo il riassaggio fatto a casa, riprendendo la mia metafora, piu' che fratello povero parlerebbe di un fratellastro orfano.
Non solo: non è d'accordo con la segnalazione della guida Bere Bene 07 del Gambero e lo consiglierebbe prettamente a chi di vino se ne intende poco e ne beve meno.

Chissà che ne pensa Bob?

Che dire: assaggiatelo e fateci sapere il vostro giudizio.

Stefano.

lunedì 21 gennaio 2008

Satrico Casale del Giglio

Per la nostra rubrica sui bianchi laziali, presentiamo oggi il Satrico di Casale del Giglio.



Un vino che costa poco (circa 4 euro in grande distribuzione) moderatamente piacevole. E' un assemblaggio di uve chardonnay, sauvignon e trebbiano giallo, un terzo ciascuno circa con percentuali variabili in funzione dell’annata.
Il colore è un giallo paglierino abbastanza carico e al naso la presenza di chardonnay e trebbiano mitiga molto il profumo tipico del sauvignon (da alcuni avvicinato alla pipì di gatto).
Il bouquet è comunque moderatamente ampio con sentori sopratutto di mela, pesca e fiori gialli.
In bocca è deciso ad un primo assaggio per poi scemare velocemente con una persistenza debole.



Tutto sommato gradevole e direi che per la spesa più che soddisfacente. Adatto a qualsiasi pietanza di pesce, anche fritto, e come aperitivo.



Stefano

sabato 19 gennaio 2008

Febbre a 90, di Nick Horby.



Poteva esimersi un calciofilo come me dal leggere questo libro ?
Non penso....e così per spirito di sacrificio e per riempire queste due pagine del blog mi sono sobbarcato questa pesante lettura...



Ci avete creduto ? Avete sbagliato.
Vorrei leggerne cinquanta di questi libri e forse non mi stancherei mai.
E' un libro che si lascia leggere con facilità, che ti affascina per la sua schiettezza, che ti sorprende per la sua sensibilità.
Non è solo la storia di un ragazzo che diventa uomo vedendo le partite dell'Arsenal, la squadra del suo cuore, ma è la storia di tutti i tifosi che legano i propri umori, le proprie "lune", le proprie gioie e i propri dolori alla loro passione.
Impossibile non ridere in alcune parti del libro, impossibile non riflettere su alcune massime che l'autore "piazza" proprio quando non te l'aspetti. Come una punizione di Liam Brady.
Lo consiglio a tutti soprattutto a chi guarda con diffidenza al mondo dei tifosi di calcio che, per me, rimangono l'ultima componente di passione in un mondo prostrato al dio denaro.

Ah, dimenticavo...in passato avevo visto anche il film: niente a che vedere.
Libro batte film 4 a 0.



Febbre a 90, editore Le Fenici Tascabili, prezzo 7.50 euro.

Marco.

venerdì 18 gennaio 2008

Una visitina a Le Macioche...

Venerdi 2 Novembre 2007.

Il passaggio a Montalcino è delizioso in questa stagione: il colore arso dell'estate non c'è più', ma ha lasciato lo spazio ai caldi colori autunnali.
Amaranto, rossiccio, giallo in tante sfumature...mentre procediamo con la macchina sapientemente guidata da Andrea (detto Bob), verso l'Azienda Le Macioche, sembra di stare davanti ad un paesaggio che ad ogni curva cambia e si ricambia per diventare sempre più' bello.
Ad attenderci c'è il Signor Mazzocchi.
Proprietario della piccola Azienda ed è lui stesso che durante i giorni precedenti, ha risposto ai miei messaggi email oppure alle mie telefonate.
Una gentilezza squisita che, scopriremo durante la visita, non è l'unica qualità del Patron.
Ci viene in contro sulla porta, sorriso in volto e giacchetto sulle spalle.
Ci fa accomodare, ci illustra la parte tecnica della sua Cantina; traspare un senso di appartenenza ed una passione genuina.



Ogni termine tecnico è accompagnato da gesti e spiegazioni inappuntabili, ma è soprattutto l'estrema cordialità che mette tutti a proprio agio.



Parliamo della vendemmia malandrina del 2002 (la Cantina non ha prodotto bottiglie in quell'anno...complimenti sinceri), di quella seguente forte di molte aspettative e dell'ultima appena conclusa che : "sarà la migliore degli ultimi vent'anni...!"

Dopo la prima parte della visita, il signor Mazzocchi ci fa entrare nella Cantina vera e propria.



Per quanto le foto possano...non riescono a rendere l'idea.
Il buio dell'ambiente è rischiarato solo da una piccola luce proveniente da una abajour sull'angolo di uno scrittoio in legno.
Dietro questo scrittoio, una "biblioteca" conserva qualche centinaio di bottiglie e qualche decina di bicchieri destinati a far da tramite tra la poesia del posto e i viandanti di turno.



Mentre continua a parlarci del suo prodotto e di alcune soddisfazioni che gli ha fruttato il signor Mazzocchi ci fa assaggiare tre vini:il Rosso di Montalcino 2005, il Brunello 2000 e quello 2001.
Straordinario il Rosso.Il migliore che abbia bevuto in vita mia, senza ombra di dubbio.Sapevo che il 2005 è un anno fortunato per il Rosso, conoscevo di fama l'Azienda, avevo letto commenti sparsi su questo vino, ma...andiamo oltre ogni aspettativa.
Un vino che si fatica a definire piccolo Brunello e che strappa applausi e sorrisi a 54 denti a tutti.
Il secondo assaggio è il Brunello targato anno 2000.
Su questo anche concordiamo che si tratta di un ottimo prodotto, ma che, come altri brunelli, risente un po' dell'annata.Stiamo sempre parlando di un buon vino, ci mancherebbe, ma se prima con il Rosso eravamo quasi a quota nove su dieci, adesso, considerando che parliamo del Fratello maggiore, girovaghiamo intorno al sette e mezzo.
Il signor Mazzocchi lo definisce un Brunello femmina.Mi sembra di poter dire che ha coniato il termine giusto.
Il terzo assaggio è da fantascienza enologica.
Ci apre, praticamente su mia richiesta, il Brunello 2001.
Che dire....mi ripeto: fantascienza enologica.
Un vino straordinario, ottimo, unico...vorrei trovare altri aggettivi, ma non ci riesco.
Quasi, quasi mi commuovo a ripensare ai noi quattro che abusavamo della pazienza del signor Mazzocchi, intorno a quello scrittoio con in mano il nostro bicchiere di nettare, rischiarati solo dalla luce fioca della piccola lampada e dal calore che da' un incontro ben riuscito.


Prima dei saluti, il tempo è sempre tiranno, passiamo ad acquistare la nostra piccola parte di paradiso.
Nel frattempo conosciamo anche la signora e riusciamo a farci questa foto ricordo proprio sul ciglio della Cantina.



Davvero una bella ora passata a parlare di vino, tra appassionati che si scambiano opinioni e si confrontano senza mai esagerare e con un unico protagonista: il Vino buono.
A margine della visita e degli ottimi assaggi non è piacevole dichiarare che l'assoluta cortesia dei "proprietari di casa" è in stridente contrasto con un ospitalità mai troppo offerta in Montalcino.

Quando ho avuto tra le mani la lista delle cantine del Consorzio del Brunello ho composto come primo numero quello de "Le Macioche", tanta era la voglia di conoscere nei dettagli questa piccola realtà che farà parlare moltissimo di se' negli anni a venire (accetto scommesse), tuttavia non posso non rendermi conto che l'offerta di visite e degustazioni è totalmente deficitaria in una zona ambita da ogni enoturista del mondo.
E per questo consiglio fortemente a tutti gli appassionati di Brunello buono e di vino in generale la fermata a Le Macioche per scoprire questa Cantina ed il suo produttore.
Sulla splendida bonta' del prodotto non si può' più' nutrire alcun dubbio, sulla cortesia con cui verrete ricevuti siamo pronti a scommetterci una bottiglia delle migliori che abbiamo in cantina: un brunello de Le Macioche.




Marco.

giovedì 17 gennaio 2008

Pizzeria Sforno a Roma



Oggi finalmente, dopo varie frequentazioni, riesco a far uscire una recensione di Sforno, mitica pizzeria in zona Cinecittà, che porta avanti la carretta della pizza di qualità a Roma insieme alla Gatta Mangiona e, ultimamente, a Bir & Fud.

In effetti non ero sicuro di farla, ma grazie alle insistenze e soprattuto alle foto dell'oriundo perugino Stefano ce l'ho fatta. Compagni di avventura, oltre all'oriundo, la mitica Irma (grandissima tutor e organizzatrice di eventi), l'avellinese Alfredo (baskettaro prestato alla pallavolo), il molisano Emanuele (mago della comunicazione), lo spoletino e gran business man Rafaelito, il salernitano Saverio (avvocato dello sport) e il romanissimo Fabrizio (compagno anche di calcetto). Tutti reduci dall'ultima edizione del Master in Economia e Gestione dello Sport, di cui mi fregio di essere indegno docente e responsabile marketing.

Ci siamo capitati di martedì 8 gennaio, un giorno in cui ti dici: "ma dopo i bagordi delle feste con la gente ancora satolla, saranno aperti?" Non solo erano aperti ma se non avessi prenotato saremmo rimasti anche fuori perché era strapieno.

Il locale è molto semplice, una vera pizzeria di quartiere come molti se la immaginano. La Gatta e anche Bir & Fud, secondo me, sono più carine.

Grande scelta di birre con finalmente una carta, una novità dall'ultima volta che ci ero stato. Intendiamoci: se possibile è sempre meglio il consiglio di un esperto, specie per me che di birre proprio non me ne intendo. Tuttavia una carta può servire a restringere le preferenze iniziali. Non ricordo, però, che birra ho preso ma era decisamente buona. So solo che era fatta sul modello del metodo classico dello spumante.

Come antipasti le mitiche patatine (quelle che anche Bir & Fud cita come "patatine come sforno ci ha insegnato") per tutti. Buone anche se qualcuna era sbruciacchiata. Il consenso mi è sembrato quasi unanime.



Io poi ho preso un classico supplì alla gricia, very very good, e un innovativo arancino con la trippa. Quest'ultimo era spaziale sia come bontà che come proporzioni (sapendolo prima non avrei preso la pizza, tanto era grande). Un guscio fritto benissimo con tutto il pecorino a velo sopra e dentro una trippa (in bianco) di una bontà incredibile. Anche il prode Saverio, uno che di mangiate se ne intende visto che la famiglia gestisce un ristorante in quel di Salerno, ha apprezzato.

Per la pizza, ognuno ha seguito un po' il proprio istinto. I malfidati o tradizionalisti hanno preso la margherita. L'oriundo perugino Stefano ha assaggiato solerte la pizza qui sotto ritratta: patate, gorgonzola e timo. Mi è sembrato soddisfatto (dalla faccia perché dalla panza non si direbbe visto che è secco come un chiodo).




Io sono andato sul classico: ho preso la Greenwich, con riduzione di Porto (il liquore) e formaggio Stilton, che è una specie di gorgonzola un po' dolciastro (buono, tutt'altra cosa rispetto al cheddar): un classico di Sforno.
Era buona come al solito ma l'arancino aveva fatto più che abbondantemente il suo lavoro.



Piccolo incidente solo in zona cesarini, ossia al dolce. La mitica Irma ne aveva preso uno con crema e cioccolato, dove quest'ultimo era andato a male. Lei, gentilissima, non aveva detto nulla, ma di fronte alle insistenze della cameriera aveva fatto notare che era un po' "gassato". La cameriera ce l'ha cambiato con uno buono (anzi più buono, visto che il cioccolato era tritato e di qualità superiore). Resta però l'incidente.

Nel complesso, comunque, standard elevatissimo rispetto alla media romana anche se devo dire che le pizze rispetto ai primi tempi qualcosa hanno perso (ma d'altronde anche Bir & Fud l'ultima volta mi ha lasciato perplesso sulle pizze).

Prezzo finale: 22 euri, comprensivi anche di acque varie, dolci per quasi tutti e qualche bicchiere di passito.

In ogni caso sempre consigliatissimo.


Sforno
Via Statilio Ottato 110
Tel. 06.71546118
www.sforno.it

Stefano & Stefano

mercoledì 16 gennaio 2008

Romanico - Azienda Agricola Coletti Conti



Ne avevo letto bene di questo vino, un cesanese del piglio dell'azienda agricola Coletti Conti, di cui ho assaggiato il 2005. I due cesanesi laziali, sia quello del piglio che quello di affile, sono vini sempre vicini a diventare qualcosa di buono, ma mai arrivano al risultato. Considerate che qualcuno, direi eccessivamente, associa i cesanesi del piglio, in particolare, alla dizione "pinot noir del sud".

Pur avendone gradito altri, questo in particolare non mi è piaciuto per niente. E dire che dall'aspetto non si presentava neanche male. Eccessivamente morbido, al punto di risultare spesso dolciastro coprendo totalmente la tannicità. In bocca non è risultato per nulla persistente, e troppo minerale. Il tutto è stato poi condito da un'enorme quantità di posa che si era creata nella bottiglia.
Di conseguenza il costo (tra i 15 be i 25 euro) non è assolutamente giustificabile.

Stefano.

martedì 15 gennaio 2008

La resa per ettaro



La resa per ettaro: questa sconosciuta. Uno dei primi elementi, in ordine temporale rispetto al processo produttivo, che più influenzano la qualità del vino e in particolare discriminano i doc rispetto ai vini da tavola, è la resa per ettaro, cioè i quintali di uva che si possono produrre per unità di superficie. Questo seplicemente perchè meno grappoli ho sul ceppo della vita, più gli elementi minerali e linfatici della pianti si trasmettono su di esso. Ce ne sono altri, a monte e a valle di questo, che influenzano la qualità della riuscita di un vino, ma questo è senza dubbio uno dei più ambigui. Se non altro perchè la nostra stessa legislazione, in termini di VQPRD, è poco chiara.

In effeti, a pensarci bene, la resa per ettaro é un parametro assolutamente vago perché non legato al numero di viti realmente presenti in quell'ettaro. Poniamo che la produzione fissata dal "disciplinare" sia di cento quintali, questa si può ottenere sia nei vigneti che hanno mille piante per ettaro che in quelli che ne hanno diecimila. La differenza è sostanziale perché nel primo caso ogni pianta dovrà produrre dieci chilogrammi per raggiungere l'obiettivo finale, mentre nel secondo caso basterà un chilogrammo per vite, con evidenti differenze qualitative tra i due sistemi. Ovviamente meno una pianta produce maggiore sarà la qualità finale del vino.

Per avere un indicatore più efficace basterebbe stabilire la resa per ceppo (cioè per singola vite) che darebbe un parametro molto più realistico della produzione. Contare le viti in un vigneto in fondo è piuttosto semplice.

Tuttavia, per quanto vaga, la "semplice resa per ettaro potrebbe anche avere una sua utilità se non si superassero certi limiti. Il professor Mario Fregoni, titolare della cattedra di Viticoltura all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, ha più volte scritto: "Per una produzione di qualità non si dovrebbe andare oltre i 100 - 110 quintali per ettaro". In realtà non sono molte le DOC italiane che si mantengono intorno questi valori.

Volete i dati? Prendiamo i dati istat 2005, rieloborati graficamente dal blog i numeri del vino.

Anzitutto il totale di resa per ettaro media è di 103,8 quintali per ettaro (q/ha), dato dalla somma del 109,4 medio italiano dei vini da tavola e del 87,7 medio italiano dei VQPRD.



Ovviamente la media nazionale è pesata in ragione del fatto che la produzione di vini da tavola è più alta di quella dei VQPRD (doc, docg e igt). La media italiana dei VQPRD è più che soddisfacente se consideriamo quianto visto nell'introduzione al post.

A ben guardare, però, c'è poco da essere felici. Una buona quantità di regioni sta sopra la media nazionale e tra loro anche alcuni insospettabili come il Trentino, il Veneto, il Friuli e, ahimè, il Lazio.
In questo senso sono quindi due i problemi che emergono:
1) perchè i disciplinari, che sono molto stretti per tanti aspetti, sono invece di manica così larga per quanto riguarda il parametro della resa per ettaro, ambiguo nel senso visto sopra?
2) perchè, visto che la composizione organolettica dei vini varia sensibilmente in base alla resa per ettaro, ci sono doc e doc? Ossia perchè nel Lazio si permettono doc con rese per ettaro sensibilmente superiori non solo alla media nazionale dei VQPRD ma anche a quella del vino da tavola?

Stefano

lunedì 14 gennaio 2008

Antinoo, azienda Casale del Giglio.

Questa volta parliamo di un bianco della schiera della Cantina Casale del Giglio:
l’Antinoo .
Lo dico senza far torto a nessuno: dei bianchi di Casale del Giglio è quello che mi piace di più’.


E’ un bianco Igt con uve Chardonnay (60%) e Viognier (40%),in genere sui 13,5 gradi .
Il colore è quello dell’oro.Il profumo quello di vaniglia. La sapidità è quella giusta…

L’ho “accoppiato” con parecchi primi piatti, dal fungo porcino alla bottarga di muggine non disdegnando qualche risotto e qualche pasta ripiena, con buoni risultati, poi, certo, dipende anche dai gusti…
Nonostante il suo “ripasso” in tonneau per circa 8 mesi, devo dire che mi è sempre sembrato un bianco “compagnone”.
La bottiglia si trova quasi sempre sia nella grande distribuzione (segnalata, giustamente, come prodotto Laziale), sia in enoteca.
Il prezzo è intorno ai 10 euro, centesimo in più’, centesimo in meno.
A mio giudizio anche per questo vino, va segnalato l’ottimo rapporto qualità\prezzo.
Alla prossima…


Marco.

domenica 13 gennaio 2008

Il vino sul web, la classifica dei siti migliori.

Dal Il tirreno on-line di Martedi 8 Gennaio 2007.

In notevole ritardo rispetto a quasi tutti gli altri settori, il mondo del vino italiano comincia a comprendere l’immenso potenziale offerto da Internet e a rinforzare la propria presenza sul web, che è ormai il medium dove si cerca ogni tipo di informazione, dalle news più fresche su ogni argomento, al semplice numero di telefono di un ristorante, di un’enoteca e di una cantina. Migliorano i siti delle aziende del Belpaese, sia nella grafica che nei contenuti; i produttori utilizzano sempre più strumenti come blog, forum e newsletter per attivare un canale privilegiato con gli enoappassionati; si diffonde l’uso dei video; l’e-commerce sta prendendo timidamente piede.
Questo lo scenario che scaturisce dall’analisi a cura di www.winenews.it che dà vita, per il settimo anno, alla classifica “Cantine in web”.

Quest’anno i 12 migliori siti sono: Santa Margherita (www.santamargherita.it), Planeta (www.planeta.it), Donnafugata (www.donnafugata.it), Tasca d’Almerita (www.tascadalmerita.it), Arnaldo Caprai (www.arnaldocaprai.com), Corvo (www.vinicorvo.it), Duca di Salaparuta (www.duca.it) e Cantine Florio (www.cantineflorio.it), considerati come sito unico perché di proprietà del gruppo Ilva di Saronno, Bastianich (www.bastianich.com), Mionetto (www.mionetto.com), Josko Gravner (www.gravner.it), Feudi di San Gregorio (www.feudi.it), Lungarotti (www.lungarotti.it) e Cavit (www.cavit.it).

Il progresso che colpisce più favorevolmente è quello che riguarda l’e-commerce, praticato ormai da un buon 5% delle cantine italiane.
E’ ancora un dato molto basso, ma è più che raddoppiato sul 2006 il numero di aziende che vende i propri prodotti direttamente sul sito, trasformandosi in una sorta di “farmer market” on-line.

sabato 12 gennaio 2008

Sideways

Ne avevo sentito parlare parecchio, ma non l'avevo visto ancora. Un po' anche a causa della mia scarsa confidenza con il cinema (ci vado pochissimo) ma non perché non mi piaccia, semplicemente perché non mi capita. Questo film è comunque interessanti per un enoappassionato, dato che il vino è uno dei protagonisti, in particolare la Contea di Santa Barbara, i suoi vigneti e le sue case vinicole.

Avevo già scoperto che in California, a differenza di quanto si crede, non ci sono la Napa Valley e J&E Gallo. C'è un mondo di passione, dove ci sono tanti viticoltori, indubbiamente con mezzi economici superiori alla normale media italiana. Vi fanno anche grandi vini, alcuni indubbiamente costosi. Molti grandi case italiane e francesi hanno investito li. Tra l'altro di vedono interessanti ristoranti con centinaia di bottiglie a vista, case vinicole piene di barrique e tini in legno, e altre piacevolezze per chi ama questo mondo.

Nel film si accenna anche a dei grandi e memorabili vini, tra cui l'Opus One e il Sassicaia '89. La storia di contorno è divertente e mette a confronto un uomo prossimo a sposarsi con uno che sta uscendo da un matrimonio fallito.




Piacevole nelle sue parti discorsive anche se con una trama leggera, il film lo consiglio, in mezzo a tante schifezze infarcite da effetti speciali e basta, questo di effetti speciali non ne ha. E comunque mette decisamente di buonumore. Tra le protagoniste femminili c'è Sandra Oh, tra le protagoniste attualmente del telefilm Grey's Anatomy.

L'unica cosa che non mi è piaciuta, è che il personaggio principale (Miles) quando degusta si ubriaca completamente. Il che in parte è dovuto alla sua depressione, in parte anche ad uno stranoto scorretto uso dell'alcool da parte degli americani e sotto questo punto di vista è altamente diseducativo.

Sideways - In viaggio con Jack
di Alexander Payne, con Paul Giamatti (Miles) e Thomas Haden Church (Jack)
Durata: 122 min circa.

Stefano

venerdì 11 gennaio 2008

Stefano in Memè...

1) La prima cosa che ti viene in mente.

Ho fame perché è quasi l’ora di pranzo.


2)Due cose che vorresti dimenticare, ma non ci riesci.

I furti in casa di qualche tempo fa;
che non avrò mai la pensione.


3) Tre libri indimenticabili che hai letto.

Biografia di Maradona;
Memorie di un assaggiatore di vini, di Daniele Cernilli;
Bar Sport di Stefano Benni.


4) Quattro ricordi bellissimi.

Il matrimonio;
la nascita di mio fratello;
la laurea;
la prima volta...


5) Cinque film che continui a vedere con gioia.

Fantozzi (i primi 4)
Don Camillo;
Bud Spencer;
Il Marchese del Grillo;
Pulp Fiction.




6) Sei pasti indimenticabili:dove e quando.

Antonello Colonna, Colonna 2005;
Oasis, Vallesaccarda 2004;
Tordo Matto, 2005-2006;
Arcangelo, Roma 2006;
Pagliaccio, Roma 2005;
Antico Arco, Roma 2004.


7) Sette amici che porteresti sempre con te.

(solo maschi) Marco, Andrea, Igor, Gianluca, Emiliano, Giovanni, Gennaro.

8) Otto calici di vino a disposizione: cosa ci metti dentro.

1) Nussbaumer 04;
2) Sassicaia 89;
3) Quarz 06;
4) Barolo Giacomo Conterno( mi pare il 2001);
5) Taurasi Caggiano 2001;
6) Puligny Montrachet Jadot 2001;
7) Noa Cusumano 2004;
8) Philipponat Rosè.

9) Nove destinazioni future per i tuoi viaggi.

New York, Borgogna, Champagne, Bordeaux, Langhe, Taurasi, Dublino, Lisbona, Australia.

10) Dieci secondi per scrivere uno slogan pubblicitario sul Melmo.

Il Melmo siamo noi, siete voi: leggilo, diffondilo e collaboraci!

giovedì 10 gennaio 2008

Tignanello 1996, Antinori.




Seguire l'evoluzione di un vino non è mai semplice, figuriamoci quando questo vino è Mr. Tignanello della premiata "Scuderia" Antinori.

Grazie a Bob che si sta velocemente avviando ad essere il numero uno degli avvinazzati, ho avuto l'opportunità di berlo due volte nel giro di qualche mese.
Della prima volta a casa sua si ha traccia qui(pezzo del blog del 23\04\07).
Della seconda invece vi racconterò tra un po', non prima di avervi detto che se la prima volta il giudizio concordava in pieno con il Bob-pensiero, per questa siamo molto distanti.

Allora, allora, allora...insultatemi, fatemi nero, ma secondo me il Tigna non è in un anno di grazia.
Il vino si presenta molto bene, ottimo colore e buona concentrazione.
Al naso lo trovo con note dolci vanigliate e balsamiche, frutta meno matura di altri che ho assaggiato in passato, ha una minor complessità che lo rende un vino un po’ più semplice rispetto a quello che ci si aspetta.
Rimane una bottiglia particolare e buona, ma nel complesso mi lascia l'amaro in bocca.
Non l'amaro nel vero senso della parola...ma la sensazione di quello che poteva essere e non è stato e forse mai sarà.
Non sono in grado di capire quale evoluzione potrà avere negli anni futuri questa bottiglia, lo dico con spiccata franchezza, ma io non gli do grandi margini di miglioramento.

Mr.Bob invece vi trova miglioramenti consistenti rispetto alla prima bevuta.Gli sembra di scoprire o di riscoprire un altro vino.E' piu' soddisfatto e piu' convinto da questa performance, il suo sorriso a tutta bocca ne è la conferma.

Se vi saranno aggiornamenti di rilievo ve lo diremo.

Marco.

mercoledì 9 gennaio 2008

Le Vie dei Canti a Frascati



Mercoledi 31 Ottobre, fregandomene della festa di halloween e del derby capitolino, ho visitato in compagnia di mia moglie un locale di cui avevo sempre sentito parlare bene, ma a cui non avevo dato la necessaria attenzione.
Le Vie dei Canti è un posticino tranquillo, intimo e rustico, di quel rustico curato nei dettagli piccoli e grandi.
Apre la sua porticina tra i vicoletti di Frascati adiacenti alla residenza vescovile.



All'interno il locale è piccolino: c'è spazio solo per pochi tavoli e per un complessivo numero di coperti che non arriva a 30.
Al piano inferiore un bagno pulitissimo e ancora sotto una cantina tufacea "di quelle di una volta".
Da una delle tante guide mi risulta che a gestire il localino siano due fratelli, tuttavia nella serata in cui l'abbiamo visitato ce n'era solo uno.

Atmosfera originale, molto familiare e musica jazz in sottofondo ci hanno allietato durante il nostro pasto, così mentre fuori "orde di barbari festanti" giocavano a dolcetto o scherzetto...noi ci siamo affidati alle sapienti mani del proprietario che nell'ordine ci ha aiutato a scegliere i vini ed il menu.
Come vini abbiamo preso due calici di rosso:un Etna Rosso 2006 Benanti ( buono) ed un Montepulciano d'Abruzzo Cataldi Madonna 2005 (discreto).
Al mio occhio attento non è sfuggita la lista dei vini che spazia (con qualche lacuna) su tutto lo Stivale proponendo, accanto ai mostri sacri, valide alternative.
Buoni i prezzi ed onestissimi i ricarichi.
C'era una parte della lista che parlava di Francia, Germania ed altro, ma lì non oso giudicare viste le mie scarse competenze.
Ma veniamo alla "pappa".
Il locale lavora principalmente salumi, formaggi, bruschette e crostoni...sembra poco, in realta' è una valida alternativa poichè le materie prime sono buone, ricercate e curate negli accostamenti.
Noi abbiamo optato per una porzione di sfilacci di manzo conditi con scaglie di parmigiano, limone e rucola (davvero particolare, buonissima e meritevole).



Insieme ci è stato portato una porzione di sopressata vicentina...(buona)



...ed una porzione di ciauscolo marchigiano e corallina campana(quest'ultima nella norma).




Contenti, ma non del tutto satolli abbiamo preso anche un crostone caldo a testa, con cacio e pancetta...(molto-molto buono)



..un paio di bruschette con salsa di pomodori secchi di cui,purtroppo, non abbiamo una foto ed una porzione mini di formaggi(particolarmente graditi risulteranno il toma valdostano e il formaggio invecchiato sulle vinacce del Barolo).



Per concludere, ormai pieni, ci siamo divisi un tortino al cioccolato adagiato su marmellata di arancia amara (non voglio esagerare,ma vi dico che era STREPITOSO!) accompagnato da due calici di champagne rosè.




Da aggiungere rimane una bottiglia una bottiglia d'acqua e un secondo calice di Etna Rosso, il tutto per...reggetevi forte, soltanto 45 Euro.

Sotto tutti i punti di vista è stata un'esperienza molto bella, in cui faccio fatica a trovare quello che mi è piaciuto di piu'.
Il pasto consumato, l'ambiente familiare ed al tempo stesso romantico, il jazz di sottofondo, la sapiente e pratica gentilezza del proprietario...tutte queste cose fanno un mix di qualita' che rende questo locale straconsigliato.


Le Vie dei Canti
Via G.D'Estouville 3
Frascati
(Aperto solo la sera e chiuso la Domenica)



Marco
(P.s.mi scuso per le fotografie un po' buie, ma in quella serata la macchinetta fotografica ha fatto le bizze)