sabato 31 gennaio 2009

Racconti quotidiani, di Andrea Camilleri.



Tanti piccoli frammenti di ricordi, di sensazioni, di riflessioni di Camilleri.

In tutto sono ventuno racconti che parlano un po' di tutto, perfino di cronaca attuale.
Se "abbozzo" che quello che arriva al lettore non è nient'altro che uno spaccato del mondo dell'autore, non penso di sbagliare tanto.
C'è molta partecipazione nei racconti, molte speranze e molta ironia Camilleriana...

A me ,tutto sommato, è piaciuto ed è scivolato via, come è normale che fosse, tra una risata ed una riflessione.
Molto belle le parole spese per la città di Roma...


Racconti quotidiani, editore Mondadori, prezzo 9,00 euro.

Marco.

venerdì 30 gennaio 2009

Cucina musulmana, prima parte.




Dopo la trattazione della cucina ebraica, possiamo passare a quella musulmana, indicandone le varie regole che la caratterizzano.
Anche in questo caso faremo un doppio appuntamento, per evitare di fare un singolo post eccessivamente lungo.
Nell'Islam, come descriverò più dettagliatamente in seguito, gli alimenti si suddividono in:


  • halâl: (permessi, leciti);

  • harâm: (proibiti, illeciti);

  • mushbûb: (dubbi, sospetti; il loro consumo è quindi affidato alla coscienza del musulmano);

  • makrûh: (abominevoli).

Nel Corano, si legge (Vª5):


Oggi è reso lecito a voi il buon cibo [âlTayyibât, letteralmente: i
gradevoli,le cose sane]; gli alimenti di quelli che hanno ricevuto le [sacre]
Scritture sono leciti per voi, e i vostri alimenti sono leciti per loro.
E del pari le donne oneste fra le musulmane e quelle oneste fra quelli cui sono
state date le Sacre Scritture prima di voi; purché diate loro la loro dote,
vivendo con rispetto, non commettendo fornicazione e non prendendo amanti.
Chi rinnegherà il buon comportamento, vanificherà il suo operato e nella
vita futura sarà fra i perdenti.

In linea di massima quindi sono permessi ai Musulmani i cibi sani; e sono specificatamente proibiti il maiale e gli alcoolici.


Alimentazione degli Arabi prima dell'Îslâm.
Animali da allevamento, prevalentemente il montone, anche il grasso del cammello e della coda di montone; ma l'uso abituale di carne era comunque raro.
Principale alimento base era il latte, di cammella, di capra, di pecora, e da questi il burro e i formaggi.
Nel Sud della penisola arabaprimeggiavano i datteri, in grandi varietà; nel Nord, pane (di orzo e di frumento), zuppe, legumi, e poca selvaggina di ogni tipo. Soprattutto i popoli agricoltori avevano zuppe e piatti di carne molto grassi. Molto apprezzato anche per le sue qualità altamente salutari il miele, che verrà poi lodato anche nel Corano.
Vino soprattutto di palma, ma anche di uva, e a volte importato. Il quadro religioso preislamico era molto vario, quindi anche per ciò che riguardava gli alimenti sussistevano molte varietà di regole.
Le più note eran quelle delle comunità ebraiche, una cui eco si sente nel Corano là dove rende lecito a tutti i Musulmani ogni tipo di pesce.

Regole alimentari del primo Îslâm.
Il mondo islamico inglobò paesi conquistatori e paesi conquistati, ciascuno con una sua tradizione alimentare.
Tuttavia già dal terzo secolo dell'Égira gli interscambi e l'unità del dogma creano una vasta area relativamente omogenea in cui emergono soprattutto gli usi di tre cucine tipiche: la romana, la bizantina, la turca.
Anche grazie all'organizzazione e all'estensione dei commerci, si diffondono i prodotti base; ne sono esempi maggiori il riso e lo zucchero di canna, venuti dall'Asia centrale.
Il riso, dall'India giunge sino in Spagna. Ma anche altri prodotti ignoti all'impero romano giungono ora anche all'Europa cristiana. Lo zucchero, dall'India, soppianta l'utilizzo romano del miele, ma vi si affianca anche il giulebbe di uva, di carruba, e di altri frutti dolci.
Di grande commercio universale è il grano.
Particolarmente apprezzate le spezie, importate dalla Cina e dall'India, già note in periodo preislamico e anzi veicolate nel Bacino mediterraneo dalla Grande carovaniera dell'incenso, essendo essenziali per la conservazione degli alimenti e per problemi di disinfezione intestinale.
In definitiva i principali apporti islamici all'Occidente furono: il riso, gli spinaci, i limoni, le arance, le pesche, i carciofi, le albicocche, lo zucchero, il caffè.
Con i prodotti furono veicolati anche gli insegnamenti per coltivarli ed elaborarli.
I paesi islamici importavano a loro volta derrate alimentari anche da paesi non musulmani: dalla Russia e dai paesi slavi pesce secco, miele e nocciole; dalla Toscana olio d'oliva; dalla Francia e dalla Sicilia formaggi particolari.


Conservazione.

I precedenti metodi romani e bizantini erano ben conosciuti nel mondo islamico. Cibi seccati con vari metodi (anche carni e pesci) erano presenti dovunque, così come i cibi affumicati e salati. Meloni della Transoxiana erano portati a Baghdad in ceste con ghiaccio, chiuse in casse di piombo.
Erano comuni i cibi conservati sott'olio, nell'aceto, nel miele, chiusi in boccali sigillati, anche posti sottoterra. Gli aromi venivano soprattutto dall'India. Ma va considerato che la farmacopea musulmana - in quei tempi all'avanguardia in tutto il mondo antico - aveva già fatto conoscere la conservazione mediante antisettici.
In generale i venditori di cibi conservati costituivano vere e proprie corporazioni per le "conserve alimentari". Avevano una considerevole rete commerciale, e importavano perfino dall'Italia salsicce (non di maiale) conservate con metodi romani, che venivano principalmente dalla Lucania, come dimostra il loro nome arabo laqâniq o naqâniq.

Preparazione.
La giurisprudenza malikita e la giurisprudenza abadita prescrivono che la moglie non può essere obbligata a macinare; dilatando questo assunto si andò ben presto stabilendo nel mondo islamico l'uso di far preparare una parte dei cibi da negozianti specializzati.
Invalse in seguito l'uso, ad esempio, che le paste venissero portate a cuocere dal fornaio, e alla fine furono molti i piatti venduti già pronti. I viaggiatori europei che visitarono il Cairo nel Medioevo parlavano di circa 12.000 rosticcerie.
La preparazione dell'olio era assicurata da vere e proprie industrie.
Per i cristiani e gli ebrei e per qualche musulmano che non seguiva il divieto coranico era comunque presente l'industria del vino, con variazioni da paese a paese. Ve ne erano importanti centri in Siria, ma non in Egitto; in tutto l'impero Ottomano, ma non in Istànbul. Industria di considerevole portata fu quella dello zucchero di canna, apprezzato in tutto il mondo.
Nell'antico Cairo producevano zucchero 58 stabilimenti, e sotto i Mamelucchi ciò divenne un monopolio di stato. Molto apprezzate furono anche le industrie delle marmellate, dei dolci, della bottarga.

Stefano.

giovedì 29 gennaio 2009

Olio 2009: situazione in chiaroscuro


Tratto da Enotime:
Secondo la previsione dell'Ismea, in collaborazione con Aipo, Cno, Unapol, Unaprol, Unasco, quest’anno la produzione oleicola crescerà circa del 10%, con una stima quantitativa per la campagna 2008/09 attorno ai 6,3 milioni di quintali contro i 5,7 milioni indicati dall'Istat per la scorsa annata.L'aumento seppure diffuso su tutto il territorio nazionale, risulta particolarmente evidente nelle regioni centrali che l'anno scorso avevano invece subito le maggiori perdite a causa del clima sfavorevole.Nel dettaglio è prevista una produzione di poco superiore a quella dell'anno scorso in Puglia, Sicilia e Sardegna, dove gli aumenti non andrebbero oltre il +5%. In Calabria l'incremento sarà invece compreso tra il 10% e il 15%, analogamente a quanto avverrà in Campania, a fianco ad aumenti ancora maggiori attesi in Molise (+20-25%) e più modesti (+ 5/10%) in Basilicata.Al centro Italia il miglior risultato va alla Toscana, in crescita del 35% rispetto all'anno scorso, con incrementi, comunque, altrettanto rilevanti in Umbria (+30%) e dal 30% al 35% nel Lazio e in Abruzzo (+25/30% nella Marche).Bene al Nord la Liguria, dove la produzione è prevista addirittura in aumento del 60/65% rispetto alla scorsa campagna, con prospettive di crescita anche nel Veneto attorno al 30%.Ma nonostante gli aumenti della produzione il settore oleicolo è in ginocchio, specialmente in Puglia, la regione di maggior produzione, dove in molte aziende si produce in perdita per via dei prezzi di vendita troppo bassi dovuti alla concorrenxa sleale da parte di molti oli di provenienza extraeuropea che stanno giungendo in Italia a prezzi stracciati.
Produrre olio d’oliva, con prezzi sempre più bassi (meno 30%) e costi produttivi e oneri sociali a livelli vertiginosi (con aumenti di oltre il 50%), non è più redditizio.
Oggi - secondo la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori - in Italia su 9 bottiglie che dichiarano di contenere olio extravergine solo 7 lo contengono veramente e 2 non dicono la verità, cioé non contengono extra vergine.
Delle 7 bottiglie, poi, 4 soltanto sono di olio extravergine italiano e 3 di olio extravergine estero.
Naturalmente il tutto viene venduto per italiano.

Melmo Staff.

mercoledì 28 gennaio 2009

Chardonnay Cuvèe Bois della cantina Les Cretes.

Piccola nota introduttiva.
Questo vino ci è stato regalato, da Federico, un collega, ma prima di collega un amico di Simona, per il primo compleanno di Sofia.
Federico dietro l'aria rassicurante dell'ingegnere buono e del papà modello, nasconde una grande passione per il vino e per altri prodotti ad alta gradazione alcolica.
Quando capitava d'uscire, un po'di tempo fa( ora con le piccole pesti in casa è molto più' difficile) riuscivamo sempre a trovare il modo di fare due chiacchiere su qualche Barolo bevuto o su qualche vino sconosciuto alla platea di esperti, ma che ci aveva colpito o ci aveva fatto emozionare.
Per questo e molto altro vi dico, che di Federico, enologicamente parlando, ci si può' fidare e non vedo l'ora che le bimbe siano un po' più' "indipendenti" e ci si possa perdere dentro qualche "bettolaccia", tra odori acri e tovaglie a quadri come abbiamo fatto qualche tempo fa...


Ma torniamo in topic.
Chi mi ha seguito in questo anno e mezzo sa che rapporto ho con il vino bianco.
Per chi non lo sapesse, lo ripeto: sono molto esigente.
Nasco "bianchista" e riesco ad essere molto più' "cazzone e criticone" sui bianchi.
Questo vino è uno chardonnay 100% di 13 gradi e mezzo.
Non ho bevuti molti bianchi valdostani, ma il color oro con sfumature molto lucenti mi hanno fatto pensare a regioni decisamente più' meridionali.
Al naso è uno spettacolo: fiori dolci e frutta esotica.
A bicchiere in movimento mi sembra di scorgere un'ottima vaniglia e poi miele e burro.
Ma è in bocca che sorprende e che ti fa capire che ci si trova di fronte ad un grande vino.
Perfetto, elegante, equilibrato si lascia bere benissimo e invoglia senza stancare.
La struttura è ottima e bilanciata con la sapidità al punto giusto.
Finale lungo, ma non troppo, comunque piacevolissimo.
Insomma una delizia per palati fini ed esigenti.

Essendo un regalo non so dirvi quanto può' costare e vista la mia scarsa preparazione sulla regione tetto d'Europa non so neanche se si possa considerare una produzione di nicchia.
Quello che so è che mi son trovato di fronte ad una buonissima bottiglia che mi ha veramente sorpreso.
Rinnovo i ringraziamenti a Federico nella speranza di bere un buon vino al più' presto seduti sullo stesso tavolo...


Marco.

martedì 27 gennaio 2009

Cucina Indiana



La cucina indiana estremamente variegata, e risente delle prescrizioni religiose (su tutte musulmane e induiste), delle divisioni culturali immancabili in un territorio così vasto e così densamente popolato, delle tradizioni culinarie e delle localizzazioni geografiche, tale per cui in alcuni posti dell'entroterra non si usa il pesce come invece si fa sulla costa. In sostanza si può dire che non esiste una cucina indiana propriamente detta, o meglio non esistono piatti nazionali, ma tante cucine diverse tra loro e a volte diverse anche dalla tradizione in virtù della commistione delle stesse cucine e di qualche occidentalizzazione dovuta all'afflusso turistico.




Molto note sono le preparazioni tandoori (carni o pesce cotti in uno speciale forno di terracotta, di forma cubica all'esterno e concava all'interno, alimentato a carbonella, che consente una cottura rapida ad altissima temperatura con totale esclusione dei grassi e che rende croccante l'esterno e lascia morbido l'interno) e per il curry.
Il curry, che in Occidente è identificato con un'unica polvere gialla profumata e piccante, è in realtà non solo un intero gruppo di spezie il cui aroma varia a seconda dei componenti e, ovviamente, del piatto a cui è destinato, ma un modo tipico e caratteristico di preparare i piatti.


Fermi restando i principi seguiti dalle cucine di derivazione musulmana, di cui si parla a parte nel blog, la cucina indiana di filone induista si basa sui principi dietetici scritti nei testi sacri dell'Ayurveda, che regolando in particolare il dosaggio e i miscugli delle spezie affermando che un'alimentazione fortemente speziata è una garanzia di buona salute. L’Ayurveda include una teoria della nutrizione basata sui sei sapori fondamentali e calibrata su diversi temperamenti individuali.

I sei sapori contemplati sono dolce, agrodolce, salato, amaro, piccante e astringente; i tre tipi di costituzione (dosha) sono “Vata”, “Pitta” e “Kapha” (o una combinazione tra loro), generati dagli elementi naturali terra, acqua, fuoco, aria ed etere. Ogni indiano, definisce la sua alimentazione in funzione del suo tipo di costituzione: a seconda del tipo di dosha dominante vengono suggeriti cibi e spezie capaci di donare equilibrio.

La tradizione indiana divide i cibi in tre gruppi:
  • cereali integrali, riso, noci, germogli, frutta, verdura fresca e miele, che danno slancio alle capacità migliori e alle facoltà più elevate, non appesantiscono il corpo e lo tengono in forma;

  • cereali, formaggi freschi, latticini, legumi, dolci, cioccolato e zuccheri che arricchiscono di energie, aumentano le forze, la passione, e rendono dinamici;

  • carne, pesce, uova, alcol, funghi, cipolle e aglio che invece appesantiscono, offuscano la chiarezza mentale e rendono meno sensibili.



  • Per semplicità, ma con le ovvie approssimazioni del caso, la cucina indiana viene codificata nei testi suddividendo i piatti in base a due categorie: cucina indiana del nord e del sud.

    La cucina indiana del nord è caratterizzata dal ghee, il burro chiarificato nel quale si soffriggono le spezie, che fa da base per ogni prepazione; molti tipi di pane, carni grigliate, poche salse e una preferenza per lo yogurt. I piatti tipici di questa regione sono i pulao persiani, miscugli di riso e carne con zafferano; i biryani, piatti unici a base di riso, carne o pesce, e verdure; gli spiedini. Nello stato del Punjab, dove è situata la capitale, Delhi, nacque il famoso tandoori. Il Kashmir è il maggior produttore di peperoncino del paese, e la capitale dell'agnello.

    La cucina indiana del del sud è profondamente vegetariana, a base di legumi e cereali, soprattutto lenticchie e riso, non si cuoce con il burro ma con l'olio vegetale. La costa è ricca di alberi da frutto: anacardi, banani, limoni, piante di guaiava, alberi del pane, manghi, papaia, tamarindi, tè e caffè. In tutta la costa tropicale, a partire da Goa, si cucinano pesci, crostacei e molluschi, molto speziati. Famosi i piatti a base di tamarindo dello stato del Tamil Nadu, nella parte orientale, e quelli a base di cardamomo delo stato del Kerala, a Ovest dell'estremità meridionale, dove si possono assaggiare gli idlis, dolcetti di riso fermentato.


    La cucina indiana più ricercata è quella dello stato del Maharashtra, la cui capitale è Bombay.
    Qui i piatti sono preparati con un numero molto grande di ingredienti, vengono preparate e utilizzate le chutney, composte di frutta speziate, gli achar (o pickles, sottaceti piccanti). La cucina è tendenzialmente dolce e (relativamente) poco speziata.
    Interessanti anche le tradizioni culturali legate al cibo. Gli indiani mangiano tutto o quasi con le mani: quelli del nord si servono delle punte delle dita, quelli del sud prendono gli alimenti a piene mani. L'eleganza esige di prendere il cibo lentamente con le prime tre dita della mano destra, senza sporcarle oltre la prima falange. Il pane è l'unico utensile utilizzato.


    Tutte le pietanze sono servite conteporaneamente: è il thali, grande piatto rotondo individuale, in cui sono presentate tutte le vivande. Nel nord questo grande piatto è di metallo, nel Sud e nelle case contadine ci si accontenta di una foglia di banano. Le pietanze liquide sono disposte in ciotoline, i katori, di terracotta, e disposte sul thali.

    Stefano.

    lunedì 26 gennaio 2009

    Verticale di Faro Palari.




    Una splendida emozione. Questo il giudizio che do del Faro Palari, prodotto dell'azienda di Salvatore Geraci, siciliano di messina.
    Uno che bazzica nel vino da tanto, e che su insistenze di Veronelli (mitico Gino) si è messo a fare vino per salavare una doc, quella appunto del Faro. E meno male che l'ha fatto, visti gli splendidi risultati ottenuti (non solo per me a quanto pare ma per tutti gli astanti e in generale per il pubblico enologico).

    La degustazione si è svolta presso l'enoteca Di Biagio, che colgo l'occasione per segnalare (anzi per lodare) viste le tante interessanti iniziative che fa.

    Il Faro nasce da uve autoctone della zona quali nerello, cappuccio, nocera , acitana, tignolino, galatena, calabrese e non so quante altre. L'unica che conoscevo già era il nerello, utilizzato anche da Cottanera. Le uve dopo la fermentazione fanno grossomodo un anno e 1/2 di botte e altri due di affinamento in bottiglia.

    Il vino in se, poi vediamo i singoli anni, non ha praticamente nulla a che fare con l'enologia siciliana a cui siamo abituati (a parte qualche eccezione). E' estremamente complesso e sopratutto incredibilmente elegante.
    L'ingresso in bocca è sussurrante e viene fuori poco alla volta, insistentemente, senza lasciarti per un bel po'.
    Al naso e nella stessa bocca ha più note piemontesi che sicule, e già questo è tutto dire.

    Noi abbiamo degustato anzitutto il celebratissimo 2005 poi il 2002 e il 2000.

    Il 2005 mi è piaciuto (più al secondo assaggio che al primo), perchè un po' troppo scorbutico all'inizio. Aveva bisogno di aria, evidentemente. Colore rosso rubino, con qualche riflesso granato. In bocca spezie, frutta rossa matura (molto matura) e un po' di balsamico.
    Le note grossomodo si ripetevano anche per gli altri due anni, con la differenza che il colore diventava via via più granato (2002 e 2000 molto simili), il balsamico si affielvoliva, così come la pungenza dei tannini.
    Il 2000 e il 2002 le ho trovate straordinarie veramente. Il 2005 per i miei gusti ha bisogno di "spuntarsi", ma si sente che è un gran bel prodotto.

    I costi girano intorno ai 30-40 neuri.

    Lodevole.

    Stefano.

    PS per Emanuela: il 2005 aveva anche il mallo di noce (mi hanno detto), ma io non lo so riconoscere! :)

    sabato 24 gennaio 2009

    venerdì 23 gennaio 2009

    Passeggiata per le vie di Milano...

    Ottobre 2007...Lo so anche questo non è un pezzo “fresco”, ma...vogliatemi bene così!
    Il pretesto per andare a Milano è il concerto di Michael Buble'.
    In realtà la mia amica Chiara era circa un anno che mi diceva di andare a trovarla nella sua nuova casetta e allora alla fine siamo andati.
    Se fossi una bambina e frequentassi ancora le scuole elementari vi direi che Chiaretta è la mia amichetta del cuore. I nostri genitori si conoscono sin da ragazzi e noi siamo praticamente cresciute insieme. Lei vive a Milano da una decina d'anni oramai, cioè da quando si iscrisse all'università lassù. Poi ha trovato lavoro e, soprattutto, ha conosciuto Luca.


    Chiara e Luca per l'appunto hanno ospitato Marco e me per questo week-end milanese. Devo dire che competere con le sensazioni e le emozioni che ha suscitato in me Milano la prima volta che ci andai non era facile: intanto era il periodo di Natale (in assoluto il periodo dell'anno che preferisco) e poi ancora ricordo il tuffo al cuore che ebbi quando il Duomo comparse all'improvviso svoltando un angolo e manifestandosi in tutta la sua maestosità! Bellissimo.
    Tornando a noi, una visita come questa che sto per raccontarvi ve la consiglio proprio: colori e sapori di un autunno milanese (e non solo) veramente meravigliosi.
    Il venerdì appena arrivati siamo andati diretti al concerto – che, per la cronaca – ci è piaciuto un sacco. Una volta usciti ci siamo resi conto che nessuno di noi aveva cenato o messo qualcosa sotto i denti dall'ora di pranzo e quindi siamo andati verso il centro a cercare un locale aperto per cenare. Obiettivamente, ma era pure mezzanotte passata, i Navigli non offrivano gran che! Ad un certo punto, mentre stavamo per entrare in una birreria addocchiata da noi ragazze, Marco scorge in lontananza un ristorante messicano. La cucina etnica, manco a dirlo, è una delle sue passioni e tanto ha detto, tanto ha fatto che alla fine abbiamo deciso di accontentarlo. Il posto si chiama TAQUERIA PANCHO VILLA (Alsazia Naviglio Pavese, 10 – Milano – Tel. 0258114259 – www.panchovilla.it). Abbiamo mangiato 3 antipasti, 3 piatti tipici, 4 pinte di birra, un'acqua e 2 tequile, più i coperti spendendo 92 euro. Devo dire che abbiamo mangiato molto bene, ma vale la pena visitare questo ristorante per le meravigliose TAPAS che abbiamo preso. Sono fatte a mano e non sono le patatine industriali che – almeno io – sono abituata a mangiare qua dalle mie parte quando andiamo nei locali messicani. Erano talmente buone e appetitose assieme alla salsa guacamole che abbiamo fato il bis.

    Il giorno dopo – sabato – si è presentato così


    Che giornata stupenda! Abbiamo passato la giornata a passeggiare per il centro di Milano. Che meraviglia! Abbiamo chiaramente visitato il Duomo fin su alla Madonnina e siamo stati per le vie più conosciute e non di Milano.

    Segnalo il posto dove ci siamo fermati per comprare qualcosa per il pranzo.


    Da Luini: specialità panzerotti.
    Dopo un buon quarto d'ora di fila davanti al negozio – e ci è andata molto bene – questo è quello che ci si è presentato davanti


    Di fatto questo posto nacque come un forno e poi si è trasformato in questo chioschetto (il negozio è minuscolo) che sforna panzerotti, calzoni, panini, crocchette e via discorrendo senza soluzione di continuità. Luca mi ha detto che il proprietario si è arricchito in una maniera spropositata: c'è sempre fila, a qualsiasi ora del giorno e si mangia veramente, ma veramente bene. Se non ricordo male, “Da Luini” è pure a Londra, ma di questo bisogna che Luca mi da la conferma perché non mi ricordo.
    Noi abbiamo fatto incetta di diversi tipi di cose e siamo andati a mangiare in una piazzetta poco distante da Via Radegonda dove si trova questo storico “Forno dal 1888”.
    Consigliatissimo.

    Successivamente siamo andati qua


    Da Peck.
    Peck è una boutique enogastronomica che per gli appassionati di cibi è praticamente un paradiso. Al piano sottoterra c'è una vasta enoteca con vini provenienti da tutta Italia e dal Mondo. Ma solo certi tipi di vini. Vi basti pensare che era possibile degustare uno champagne al bicchiere (un Dom Perignon se non ricordo male) alla modica cifra di 120 Euro al calice. D'altra parte pare che tra i clienti di Peck ci siano un certo Sig. Berlusconi e un certo Sig. Moratti per i quali – ahinoi – 120 euro sono l'equivalente di 1 euro e 20 centesimi per i più!! C'est la vie!
    Al piano terra c'è tutta la sala riservata ai condimenti (sale e pepe da ogni parte del mondo e anche oli, aceti, salse, spezie, erbe), ai salumi e ai formaggi. Un profumo inebriante e meraviglioso con la possibilità di acquistare al taglio in vaschette e anche di mangiare al ristorante della boutique.
    Salendo al piano superiore troviamo una enorme varietà di caffè, cioccolato (e derivati) e te' in foglie! Ecco, qui ho acquistato. Per la precisione una confezione di te' di Natale, e 50 grammi di te' verde al limone e te' nero al limoncello. Avrei voluto prendere molto, ma molto di più....ma purtroppo non ho potuto.
    Comunque se passate per Milano, un giro lì vale proprio la pena di farlo.
    La giornata si è conclusa con la cena al ristorante Taverna degli Amici, di cui parlerò in un post apposito.

    La domenica, giornata di saluti. Il mattino abbiamo fatto un bellissimo giretto al mercatino dell'antiquariato e delle cose usate dei Navigli. Veramente una bella passeggiata. Abbiamo pranzato a casa di Chiara e Luca acquistando dei prodotti alto atesini in un forno poco distante dal mercatino che devo dire mi ha soddisfatto moltissimo.

    Il nostro bel week-end si è concluso così come al solito, davanti ad una tavola apparecchiata in compagnia di due carissimi amici.
    Milano la consiglio davvero, soprattutto d'inverno o in autunno, almeno io, che sono un tipo estremamente stagionale in tutto, la vedo così una calda accogliente città fredda del nord.



    Emanuela.

    giovedì 22 gennaio 2009

    La cucina Kosher - Parte seconda






    Passiamo oggi alla seconda parte della trattazione della cucina Kosher (si dice anche kasher, ma a me piace più kosher).


    È degno di nota il fatto che uno dei primi precetti impartiti agli esseri umani concernesse il cibo, con la proibizione ad Adamo ed Eva di mangiare i frutti dell’Albero della Vita. Da allora, gli ebrei hanno sempre posto grande enfasi sull’autocontrollo alimentare.
    Le leggi dell’alimentazione ebraica affondano le radici nella Bibbia e vengono osservate dagli ebrei da più di tremila anni. I principi fondamentali della kashrùt sono illustrati nel Pentateuco e sono definiti statuti, ossia leggi di cui non ci viene data alcuna motivazione comprensibile dall’intelletto. Tuttavia, i rabbini hanno sempre sottolineato il loro ruolo essenziale nella preservazione della vita dell’ebreo.
    Osservando la kashrùt, i bambini imparano fin dalla più tenera età il concetto di disciplina, distinguendo tra ciò che è permesso e ciò che non lo è. Ma al di là di tale esercizio di autocontrollo, i rabbini del Talmud forniscono un’idea più mistica: mangiando cibo non kosher, si riducono le proprie facoltà spirituali, “interferendo la comunicazione con la propria anima”.
    Il pensiero chassidico si spinge oltre, spiegando che tutto ciò che mangiamo diventa parte integrante del nostro sangue. E poiché, come dice la Bibbia stessa “il sangue è l’anima”, mangiando cibi vietati, cose che D-o ha creato come impure, diventano parte della nostra anima rendendo quindi impuri noi stessi.
    Così come una dieta salutare è buona per il corpo, la kashrùt lo è quindi per l’anima. Nella casa ebraica, il tavolo è un altare, la cucina un tabernacolo...
    Si tenga presente che quanto segue non è che l’illustrazione dei fondamenti della ben complessa legislazione che determina l’alimentazione ebraica. Un quadro completo dell’argomento si può ottenere solo consultando un rabbino o un esperto nel campo
    Il cibo kosher (o kashèr) si classifica in tre diverse categorie in base alla loro origine:

    Cibi a base di carne.
    Cibi a base di latte.
    Cibi parve.
    Parve: i cibi che non contengono ingredienti né di carne né di latte sono definiti parve, termine che indica il loro stato “neutrale”. Frutta e verdura allo stato naturale sono kosher e parve. Il pesce che ha pinne e squame è kosher e parve. Il cibo parve può diventare di latte se cucinato con latte o derivati, e di carne se invece cucinato con derivati di carne.
    Carne
    Le leggi fondamentali che definiscono quali animali, uccelli e pesci sono kosher, sono illustrate in Levitico, cap. XI.
    Due sono le caratteristiche che rendono kosher un animale: Per quanto concerne la carne bovina, gli animali devono avere lo zoccolo fesso ed essere ruminanti. Esempio di animali kosher: mucca, capra, pecora ecc. Fra gli animali invece non kosher vi sono, ad esempio, il maiale, il cammello, il cavallo, il coniglio...
    La carne di cervo non è più a portata della tavola kosher poiché, in base a normative agricole, tale animale deve essere ucciso a colpo di pistola in campi aperti, e non condotto in un mattatoio. Nel XIX secolo, i macellai kosher usavano recarsi alla tenuta della famiglia Rothschild una volta all’anno per preservare in Inghilterra la tradizione di sgozzare il cervo.
    Tutti gli animali e i volatili carnivori, il sangue di animali e di volatili e qualunque sostanza da essi derivata non sono kosher.
    I rettili, e la maggior parte degli insetti non sono kosher.
    Volatili
    Alcuni volatili come il pollo, il tacchino e alcuni palmipedi sono kosher. La Torà elenca soltanto gli uccelli vietati, quali lo struzzo, il gufo e l’avvoltoio. Tuttavia, oggi è difficile stabilire con assoluta certezza l’identità esatta di tutte le specie. Per tradizione però, mangiamo pollame (pollo, oca, anatra, tacchino...) e anche piccione, fagiano e pernice. Una tradizione ebraica tedesca permetterebbe anche il passero.
    Latte
    Latte e latticini (formaggi, crema, burro ecc...) di qualunque animale kosher sono a loro volta kosher e “di latte”. Essi non possono essere consumati assieme a carne o pollame.
    Poiché non è possibile distinguere latte kosher (ossia di un animale kosher) da quello non kosher, i rabbini hanno decretato che esso debba essere controllato dalla mungitura fino al confezionamento, per garantire che proviene da un animale kosher. In molti paesi del mondo in cui l’origine del latte in commercio è garantita dalla legge, alcune autorità rabbiniche avevano a loro tempo sostenuto che il latte è garantito come kosher e per questo non deve essere controllato (dopo la II guerra mondiale, data la difficoltà negli USA di reperire del latte controllato, una autorità rabbinica aveva permesso ai consumatori Kosher aventi primaria necessità, come i bambini ecc., l’utilizzo di latte non controllato affidandosi ai severi controlli e sanzioni governative a chi mescolava latte proveniente da altri animali). Il latte kosher controllato, detto Chalav Israel, è oggi molto diffuso sul mercato dei centri di vita ebraica del mondo e quindi facile da reperire.


    Formaggio
    Per il formaggio la questione si fa un po’ più complessa, in quanto sotto qualunque forma deve essere controllato da un rabbino. Questo perché il caglio è di origine animale, provenendo in genere dallo stomaco di vitello. I saggi del Talmud hanno perciò decretato che tutti i formaggi debbano provenire da una fonte controllata, anche qualora il caglio dovesse essere vegetale, chimico o microbico. Un altro vincolo che autorizza il formaggio è la produzione della cagliata, che deve avvenire per mano di un ebreo sensibile alle leggi della Kashrùt, così come per tutti gli alimenti che necessitano cottura.
    Burro
    Il classico burro da tavola che troviamo negli scaffali frigoriferi dei supermercati è distinguibile tra burro classico e burro extrafine. Il burro classico, o senza altra specificazione, è nella stragrande maggioranza un sottoprodotto di lavorazione dei formaggi, rilavorato in burrifici che rilevano dai caseifici. I caseifici infatti usano recuperare il siero che si separa dal formaggio durante la produzione, per farne del burro industriale il quale viene venduto ai burrifici che a loro volta miscelano ad altro burro in base alle caratteristiche desiderate, per farne un commercio ad uso domestico. Il burro extrafine è derivato dalla panna del latte, e quindi non pone problemi di Kashrùt, se non ché oggi molti produttori di burro extrafine producono anche burro acquistato da caseifici alterando la kashrùt degli impianti produttivi. I consumatori si sono abituati all’idea di utilizzare come standard solo burro certificato perché ad oggi oltre che garantire la kashrùt generale del prodotto, dichiara anche un controllo dalla mungitura.
    Carne e Latte
    Una posizione centrale nell’ambito della kashrùt è occupata dalla separazione fra carne e latte. I divieti che la riguardano sono molto severi, forse più di ogni altra norma di kashrùt.
    Ad esempio, non si può mangiare carne di coccodrillo perché non è kosher, ma si possono indossare scarpe di pelle di tale animale. Ma dalla mescolanza fra carne e latte non è consentito trarre alcun beneficio. Così, se è occasionalmente cuoco in un ristorante non kosher (purché ovviamente non ne assaggi il cibo), l’ebreo può preparare gli hamburger, ma non i cheeseburger.
    Per poter consumare latticini dopo aver mangiato carne o derivati è richiesta un’attesa di sei ore. Questo stesso arco di tempo è necessario anche tra la consumazione di formaggi “duri” e carne. Si noti che benché il pesce sia parve, esso non deve essere consumato assieme alla carne.
    Chi convive con animali domestici deve verificare addirittura il cibo che acquista per loro uso, per assicurarsi che non vi sia mescolanza tra carne e latte fra i loro ingredienti.
    La separazione fra carne e latte si applica non solo al cibo stesso, ma anche a tutti gli utensili impiegati per la sua conservazione, preparazione e consumazione. Tale rigore nella separazione comporta il possesso e l’uso di set separati di posate, piatti, utensili e lavandini. Anche la lavastoviglie può essere impiegata o per la carne o per il latte, ma non per entrambi.
    Il cibo che non è né di carne né di latte è definito parve, neutro, e utensili parve come bicchieri o ciotole per l’insalata possono accompagnare sia i pasti di latte che quelli di carne. Il vetro non assorbente normale può essere considerato parve per molti pareri. Bisogna stare invece attenti al pyrex o a qualunque altro utensile di vetro resistente al calore del forno, che possono essere usati solo o per la carne o per il latte.
    La separazione non si limita alla cucina e alla tavola: siamo infatti tenuti ad astenerci dalla consumazione di latticini dopo la carne finché non sia trascorso un certo numero di ore. Lo Shulchàn Arùch, il Codice di Legge Ebraica, riporta due tradizioni: una, decisamente poco diffusa oggi, richiede un’attesa di un’ora soltanto (e gli ebrei olandesi vi si attengono ancora); l’altra, più universalmente accettata, ne richiede invece sei. Viceversa lo stesso intervallo si applica dopo aver mangiato formaggi detti duri, cioè stagionati, come ad es. il grana o il parmigiano, poiché richiedono un processo digestivo simile a quello della carne.
    Infine, per evitare spiacevoli confusioni, il pane deve sempre essere parve, e quindi non può contenere burro o latte.
    Pesce
    Gli ebrei hanno sempre avuto un debole per il pesce. I loro antenati si lamentarono per la sua carenza nel deserto, ricordandosi del pesce mangiato in Egitto!
    Mentre vi sono poche varietà di carne e pollame kosher, ciò non vale per quelle di pesce, che sono numerosissime. Come la televisione, in passato gli scaffali del pescivendolo erano in bianco e nero. Oggi, grazie alla gran varietà di speci esotiche d’importazione, viene offerto al consumatore un vero arcobaleno di scelte.
    Per essere kosher, il pesce deve avere pinne e squame facili da rimuovere. Ad esempio, quelle dello storione sono difficilissime da togliere, fatto che lo rende non kosher, come lo sono automaticamente le sue preziose uova, ossia il caviale.
    Esempi di pesci Kosher possono essere il salmone, la trota, la cernia, il nasello, la sogliola ecc.
    Es. di pesci non kosher: l’anguilla, il pesce spada, il pesce gatto, lo squalo...
    Tutti i crostacei, i frutti di mare ed i mammiferi acquatici non sono kosher.
    Il pesce, sia fresco che surgelato, dovrebbe essere acquistato con la pelle, in modo da verificarne le squame per riconoscerlo con certezza.
    Carne e pesce
    Un’altra norma vieta di consumare pesce e carne assieme, ma per un motivo diverso dal latte. È semplicemente perché i nostri saggi, paladini di una vita salubre, considerano tale miscuglio nocivo alla salute. Così ci si asterrà dall’accompagnare un buon piatto di carne con salsa di acciughe...
    D’altro canto, non vi è alcun problema nel mangiare carne immediatamente dopo il pesce, o viceversa.
    Si usa però “pulire” prima il palato con del pane o bevendo qualcosa. Questo può spiegare perché molti bevono un goccetto dopo il pesce del Sabato prima di passare alla portata successiva...


    Verdura
    Mentre la consumazione di carne di maiale implica una sola trasgressione, quella di un insetto ne comporta diverse. La Torà e molto esplicita nei divieti concernenti tali creature e quindi la frutta e la verdura potenzialmente esposte a infestazioni devono essere controllate e pulite accuratamente.
    Quella che può sembrare una bella foglia di lattuga, osservata più da vicino può apparire come un albergo per insetti. Altre “dimore” molto apprezzate da queste bestioline sono ad esempio il prezzemolo, l’asparago, le verdure di primavera, i broccoli e i cavolfiori.
    Tutti gli insetti o vermi visibili a occhio nudo devono essere “sfrattati”, immergendo la verdure in acqua salata o in aceto, oppure mettendo particolari prodotti esistenti sul mercato su un panno e strofinando delicatamente la foglia, il tutto seguito da un accurato controllo visivo. Anche la frutta e la verdura in scatola possono essere problematiche. Gli insetti vi si presentano come granelli neri, ma fortunatamente possono essere rimossi con un panno di mussola.
    Vino
    Vino e succo d’uva devono essere esclusivamente di origine approvata dai rabbini, ma non per lo stesso motivo del formaggio. I saggi bandirono il vino di produzione non ebraica essenzialmente per evitare i matrimoni misti, poiché il bere può portare poi all’incontrarsi e così via. Anche prodotti come il brandy e l’aceto di vino devono portare il sigillo di un rabbino.Esso è kosher solo se la sua produzione viene effettuata da un ebreo osservante. La produzione di vino kosher può richiedere un notevole dispendio di tempo e denaro, poiché richiede la scrupolosa kasherizzazione dell’attrezzatura precedentemente impiegata per la produzione di vino non kosher e la presenza di un’intera équipe di personale osservante debitamente addestrato.
    Come spesso accade, ingredienti non kosher possono infiltrarsi nella produzione di vini non kosher, ad es. si usava aggiungere sangue di toro per la colorazione o più comunemente un agente di raffinamento proveniente dallo storione.
    Si tratta di motivazioni fondamentali che sottolineano l’importanza di un controllo rabbinico molto accurato.
    Pane
    I rabbini sconsigliano la consumazione di pane non prodotto da ebrei, benché laddove non sia disponibile pane di produzione ebraica, o se esso è di qualità inferiore, si può acquistare pane di produzione commerciale (non fatto intenzionalmente per un consumatore specifico), ma tenendo conto di quanto segue: esso in genere contiene grassi o emulsionanti di origine animale o non identificata. Vi è anche la possibilità che emulsioni o gelatine vengano spalmati sulla crosta o che le teglie vengano oliate con grassi non kosher, i quali per legge non comportano l’obbligo di essere riportati e dichiarati sulla lista degli ingredienti.
    Il pane è inoltre esposto al rischio che venga cotto negli stessi forni di pane o dolci non kosher, il che lo renderebbe automaticamente non kosher.
    Di fatto, alcun pane non controllato può essere considerato kosher.
    Biscotti
    Sono in genere prodotti con margarina non kosher. Anche quelli fatti con il burro (vedi) possono non essere kosher poiché, come detto sopra, le teglie possono essere ingrassate con ingredienti vietati, senza che ciò debba essere segnalato al cliente. Ciò vale anche per le torte. Riguardo ai forni ,è valido lo stesso principio del pane.
    Margarina
    La margarina contiene grassi ed emulsionanti che possono essere di origine animale. Anche i produttori di margarine dette vegetali non sono in grado di garantire che l’origine dei loro emulsionanti sia tale. Di conseguenza, si può impiegare solo la margarina controllata da un rabbino. Nelle margarine in commercio si addizionano spesso aromi a base di latte o derivati.
    Sostituti del Latte e Sbianca-Caffè
    Se non controllati da un rabbino, sono vietati poiché contengono caseinati.
    La Shekhità - Macellazione
    La carne e il pollame kosher deve essere preparata in base al metodo della shekhità, ossia un taglio rapido alla gola dell’animale con un coltello affilatissimo privo di qualsiasi imperfezione sulla lama. Si tratta di un metodo indolore, nel rispetto della sofferenza dell’animale.
    Dopo la shekhità, l’animale deve essere sottoposto ad un accurato controllo, detto bedikà, per verificare che non abbia difetti che lo renderebbero non kosher in base alla legge ebraica. I polmoni di bovini e ovini e gli intestini del pollame vengono sempre controllati.
    È qui che entra in gioco l’espressione glatt kosher. Nel caso del bestiame, se il polmone è privo di fori o mucose cicatrici, viene definito “glatt”, liscio. Se invece ve ne sono, l’animale può comunque essere kosher anche se non glatt, purché quando vengono rimosse, tali mucose cicatrici non lascino buchi nei polmoni.
    La Melikhà - Salatura
    Per essere finalmente portata in tavola, la carne deve essere privata dei resti di sangue, la cui consumazione è strettamente vietata dalla Torà. Essa deve perciò essere messa a bagno per un’ora e poi sotto sale grosso e risciacquata tre volte prima di essere cucinata. Oggi, la maggior parte della carne viene kasherizzata dal macellaio, risparmiando la fatica al consumatore.
    Il fegato è un caso particolare: essendo imbevuto di sangue, non può essere kasherizzato con il normale processo illustrato sopra, ma deve essere preparato “alla griglia”, ossia a diretto contatto con una fiamma.
    Il Nikùr - Purificazione
    Prima di raggiungere gli scaffali della macelleria, la carne deve essere sottoposta ad alcuni procedimenti, detti nikùr, che comportano la rimozione di alcune vene e di grassi vietati. Poiché il nikùr dei quarti posteriori dell’animale è notevolmente complesso, nella maggior parte delle comunità della Diaspora non viene effettuato del tutto in queste parti della bestia, che vengono vendute al mercato non ebraico. I quarti posteriori contengono tra l’altro il nervo sciatico, che non può essere mangiato dagli ebrei poiché fu dove Giacobbe rimase ferito nel suo scontro con l’angelo (Genesi XXXII, 33).
    Uova
    A causa dei divieti sul sangue, si devono controllare anche le uova aperte prima di essere cucinate, per eliminare quelle che contengono macchie di sangue. (N.B. Non ogni piccola macchia di colore rende vietato l’uovo). Non è però necessario controllare le uova prima di prepararle sode. Le uova bianche hanno in genere meno macchie di quelle marroni, forse per motivi biologici, è quindi più difficile trovare qualche macchia di sangue rosso vivo o simile nelle uova bianche.
    La kasherizzazione
    Cibo kosher prodotto con utensili precedentemente impiegati per la cottura di cibo non kosher, diventa a sua volta non kosher.Il procedimento che rende utensili, pentolame, piatti, forni, piani di cottura e lavabi kosher viene comunemente chiamato “kasherizzazione”. Essa deve essere effettuata sotto la scrupolosa osservazione di un rabbino esperto, poiché la sua esecuzione varia in base al genere di oggetto o utensile.

    mercoledì 21 gennaio 2009

    Buon compleanno mio piccolo amore !

    Oggi compie un anno mia figlia Sofia.
    Detto così sembra una cosa normale, quasi scontata.
    Ed invece mi sembra ieri che di corsa, ed in piena notte, partivo alla volta dell'ospedale piu' distante da casa con l'emozione che solo chi ci passa puo' capire...
    Come di tutti i ricordi piu' belli, se ne conservano solo pochi flash sfocati nella mente e chissà se quando lei sarà in grado di leggere, questo miticissimo blog esisterà ancora...chissà se io e Stefano staremo ancora a scannarci dietro annate introvabili e locali improponibili.
    Chissà...
    Nel frattempo, vi omaggio di una delle tante foto che faccio\facciamo alla principessa di casa che tra un salto e uno sbandamento, tra una capocciata e una sbandata...già se la comanda di brutto di giorno e...soprattutto di notte !


    Auguri Sofia !


    Papà Marco.

    martedì 20 gennaio 2009

    Seratina col cognato...avvinazzato !


    Beh il cognato è importante…
    Tocca tenerselo buono, cosa non difficile... se condivide con te la passione per il vino.
    La Wife prepara la cena e io(Bob) stappo le bottiglie a lungo selezionate nei giorni precedenti…


    Toscana vs Piemonte.
    Brunello Le Macioche 1999 Vs Barbaresco Rabaja 1999 Bruno Rocca

    Scontro impari? insensato? difficile?
    Si,ma a noi tanto ce piace beve!!!
    E poi uno dei due piacerà a Enrico….
    Dopo un ora il Rabaja era ancora chiusissimo, quindi lo mettiamo nel decanter
    e aspettandone un’altra ci beviamo il Brunello.
    Arrivano in tavola le spettacolari tagliatelle ai funghi di Dona.
    E si inizia a degustare le Macioche.
    Odore subito inconfondibile, l’annata 1999 e' prontissima.
    Buono, piacevolissimo, immediato e sincero.
    Frutto e tannino dolce e avvolgente.
    Come mi ricordavo: un gran bel Brunello per rapporto q/p .
    Ancora di meglio sui 25 Euro non ho trovato che mi soddisfi cosi e non mi lasci rimpiangere di non aver speso di più.
    Finiscono le tagliatelle e il Brunello si è aperto ancora…profumi inebrianti, forse un po’ corto...ma che buono !!!

    Con il secondo assaggiamo il Rabaja.
    Già dal colore sembra di avere di fronte un barolo.
    Peso medio contro peso massimo??? Forse...
    E’ ancora chiuso, agitando il bicchiere migliora, ma ci vuole più concentrazione.
    Non è facile questo…
    Colore rubino scurissimo, impenetrabile, strano per un barbaresco, in bocca molto persistente, quasi prepotente, con tannini dolci ma lunghi.
    Piano piano si apre e si fa capire meglio; il frutto esce prepotente, ma mi sembra sempre di più un barolo che un barbaresco.
    Buono,ma forse col tempo migliorerebbe ancora.

    Che dire lo scontro nun se potevà fà…è vero, ma si è bevuto veramente bene e il cognato devo dire ha apprezzato molto.


    Bob (detto Andrea!)

    lunedì 19 gennaio 2009

    Il vino della Polonia.




    Questo pezzo lo dedico al mio amico Alessandro, che da qualche tempo si diletta in Polonia a far vendere le calze di una nota ditta di abbigliamento intimo.
    E che a me ricorda sempre tanto Verdone che va a Cracovia con le bic e le calze in "Un sacco bello".
    Io l'ho ripreso da Enotime Magazine, che ha sua volta l'ha ripreso (e tradotto) da due dirigenti dell'Istituto della vite e del vino di Cracovia: Wojciech Bosak e Wiktor Bruszewski. Anche le foto che seguono sono tratte dal pezzo.



    Dopo anni spesi a reclamare i propri diritti, finalmente i vignaioli polacchi possono produrre il vino su basi quasi simili a quelle degli altri paesi vinicoli europei. Adesso c’è dunque la speranza che almeno qualche bottiglia di vino polacco dell’annata 2008 raggiungerà i negozi e i ristoranti.
    Vittoria!
    Il vino polacco si è finalmente liberato dei vincoli di norme assurde! Il 10 luglio scorso, poco prima di mezzanotte, il parlamento polacco ha deliberato all’unanimità la modifica di due leggi che fino a quel momento avevano scoraggiato con estrema efficacia i vignaioli dal commerciare il proprio vino. Già da quest’anno potranno produrre e vendere il vino senza l’onere di gestire il dazio in cantina né di pagare anticipatamente le accise.
    Non c’è più l’obbligo di un laboratorio in proprio, di una linea d’imbottigliamento controllato, di una certificazione dei piani d’impresa, del benestare del comando dei vigili del fuoco e dell’ispettorato della protezione ambientale, eccetera eccetera.
    In verità questi cambiamenti riguardano soltanto i produttori che vinificano annualmente fino a 1.000 ettolitri di vino esclusivamente da uve proprie, ma per ora non ce ne sono altri. E se qualcuno riuscirà un bel giorno a produrre su scala più vasta, sicuramente riuscirà a cavarsela anche con il dazio ed il laboratorio in cantina. Il 2008 verrà dunque ricordato come un’annata storica, la prima che vedrà sul mercato con pieno diritto un vino prodotto da uve polacche.

    Una strada lunga
    Dei problemi dei vignaioli polacchi abbiamo già scritto a più riprese (per esempio in Magazyn Wino 4/2006), dunque ricordiamo soltanto brevemente che cosa li danneggiava fino a questo momento. Contemporaneamente all’adesione della Polonia alla Comunità Europea si sono realizzate condizioni molto vantaggiose per lo sviluppo dell’enologia locale.
    Questo è l’unico Paese dell’Unione Europea senza divieto di piantare nuove vigne nelle aree maggiormente utilizzabili per la viticoltura. A questo si aggiunga che gli agricoltori polacchi potevano ricevere fondi abbastanza cospicui per lo sviluppo della produzione enologica. Si è fatto però ben poco ricorso a questi vantaggi in quanto ci si è messa di mezzo… la legislazione polacca.
    I produttori polacchi di vino d’uva, nella stragrande maggioranza poderi di piccole dimensioni, erano vessati dalle stesse leggi che erano state fatte per i grandi stabilimenti di trasformazione di altra frutta in bevande alcooliche.
    A parte l’assurdità di mettere sullo stesso piano specifiche e tecnologie di produzione completamente diverse, alcune delle regole imposte si dimostravano perfino impossibili da applicare a dei vignaioli di così piccole dimensioni. L’obbligo di produrre e mantenere il vino dentro un recinto fiscale all’interno dell’azienda stessa si è dimostrato particolarmente oneroso.

    Niente di strano, dunque, se ufficialmente finora nessun vignaiolo polacco non aveva mai iniziato a far vino, nonostante che negli ultimi anni di vigne in Polonia ne siano spuntate come i funghi dopo la pioggia e alcune di queste potrebbe perfino guadagnare già abbastanza bene con il vino che produce.
    I produttori polacchi di vino volevano fin dall’inizio una cosa soltanto: essere trattati alla pari dei loro colleghi degli altri Paesi europei.
    Nel Diritto europeo c’è il principio del “piccolo produttore” di vino d’uva che produce fino a 1.000 ettolitri l’anno (nelle condizioni polacche questa è più o meno la produzione di 15-20 ettari di vigneto). In tutta l’Unione questi vignaioli sono esentati dalla gestione di un recinto fiscale all’interno dell’azienda.
    Così come evidentemente in nessun Paese normale nessuno si inventerebbe di pretendere un laboratorio d’analisi completo per la produzione di qualche migliaio di bottiglie l’anno, né una linea di imbottigliamento controllato, né la separazione evidenziata dei “percorsi delle materie prime e dei prodotti” in una cantina della grandezza di un comune garage!
    Il miracolo di quella notte di luglio
    I vignaioli polacchi avevano già fatto dei tentativi per modificare le norme prima ancora dell’adesione della Polonia all'Unione Europea.
    Per diversi anni hanno bombardato i funzionari ed i parlamentari con numerosi postulati e hanno presentato dei progetti di legge. Alcune di queste proposte sono state perfino discusse in parlamento, ma là venivano tutte in qualche modo diluite e i precedenti effetti di questi tentativi sono stati (diciamolo con prudenza) soltanto di facciata. Infine erano stati presentati dei progetti governativi di riforma delle leggi che prendevano in considerazione quei postulati, ma avrebbero dovuto entrare in vigore soltanto l’anno prossimo, dunque sembrava di dover perdere ancora un’altra annata di vino polacco. Perciò quando i produttori di Zielona Gora hanno persuaso i loro parlamentari a prendere un’ulteriore iniziativa legislativa, all’inizio sembrava che anche questa sarebbe stata una delle tante sacrificate a “San Mai”.
    E qui la sorpresa: il progetto è passato come legge speciale e tutte le modifiche richieste che pendevano per tanti anni sono state deliberate in meno di due settimane! Per il bene dell’enologia polacca, ma forse semplicemente per buona pace dei parlamentari (ohi, che noiosi ‘sti vignaioli, ma che noiosi…) che si sono elevati al di sopra di ogni divisione e hanno dimostrato un’inconsueta unanimità. In vino pax.

    Si è avverata perfino una cosa che sembrava irrealizzabile; il termine del 1º Agosto per l’annuale dichiarazione della produzione di vino all’Agenzia del Mercato Agricolo è stato rinviato a settembre affinché i produttori potessero sbrigare tutte le formalità per poter vendere già legalmente il vino della vendemmia di quest’anno. L’unica cosa che si è dimostrata veramente impossibile da ottenere è stata l’ammissione alla vendita delle scorte delle produzioni delle annate antecedenti le modifiche delle leggi. L’appoggiava perfino il Ministero delle Finanze che avrebbe riscosso l’IVA e le accise relative, ma purtroppo sarebbe stata discorde con la regolamentazione europea.
    Finalmente ci siamo, dunque, siamo già alla normalità. No, anzi, quasi normalità, perché ai vignaioli rimangono ancora le mine dell’Ufficio d’Igiene e delle restrizioni alla vendita dei vini imposte dalla legge antialcoolica, la più severa fra quelle della maggioranza dei paesi europei. Ma questo è già un discorso più largo che non riguarda soltanto i vini polacchi. Anche il problema è minore, se paragonato a quello dei famigerati recinti fiscali. Non abbiamo dubbi che la votazione di quella notte abbia aperto completamente un nuovo capitolo nella storia dell’enologia polacca moderna. Vedremo presto come se la caveranno i vignaioli in questa situazione e quanti di loro si decideranno a commerciare i loro prodotti.

    Cos’altro ci aspetta?
    La normalità che si avvicina non significa soltanto procedure più facili e costi più bassi agli inizi dell’attività di produzione di vino. Finirà certamente presto anche quell’indulgenza concessa al vino polacco nel suo periodo giovanile, eroico e partigiano. I funzionari cominceranno regolarmente a guardare dentro i tini per verificare se quello che è venduto come vino polacco sia davvero polacco e se risponde a tutte le norme locali ed europee. I consumatori diventeranno meno indulgenti quando, dopo un avvio partigiano, potranno comprarlo normalmente e cominceranno a cercarvi le qualità dal significato universale e non soltanto la qualità nostrana, polacca, eroica. E se il vino risulterà da buttare i critici diranno la verità. Oggi si valuta che la superficie delle vigne in Polonia superi i 300 ettari e prendendo in considerazione il ritmo delle nuove piantumazioni siamo prossimi perfino al raddoppio.
    Sebbene i dati includano le coltivazioni amatoriali, non è escluso che già in pochi anni i vignaioli polacchi forniranno al mercato perfino qualche milione di bottiglie l’anno. Ancora poco, ma sarà certamente l’1-2% dell’intero consumo nazionale di vino.
    Nel nostro mercato ci sarà sicuramente posto per qualche decina di vigneti più grandi, di qualche ettaro e forse perfino per qualche centinaio di vigne più piccole e trattate come fonte supplementare di reddito, specie negli agriturismi. Come mostra anche l’esperienza inglese, anche una simile scala di produzione potrà già evidenziare una certa concorrenza, particolarmente tra le vigne più grandi che vorranno vendere i propri prodotti ai negozi e ai ristoranti. Da tali produttori i consumatori cominceranno ad esigere vino buono a prezzo onesto e quelli che non si adegueranno a queste condizioni usciranno col tempo dal gioco.
    Meno esposti a questo rigore del libero mercato saranno certamente i piccoli vignaioli che venderanno i propri vini localmente, sul luogo della produzione.
    Il successo di tali piccoli poderi vinicoli dipende infatti alla stessa maniera sia dalla qualità dei vini che da quella della località, sia da un’interessante offerta turistica che dall’ambiente.
    Auguriamo successo a tutti!

    Wojciech Bosak e Wiktor Bruszewski

    sabato 17 gennaio 2009

    La solitudine dei numeri primi, di Paolo Giordano.



    Questo libro me l'ha regalato mia sorella per spezzare la catena delle rece di Camilleri sul blog. Di questo la ringrazio.
    Il libro però non mi è piaciuto granchè perchè è molto triste e la trama non mi entusiasma.
    Comunque concordo con mia sorella che mi fa bene leggere qualcos'altro.
    E' la storia di Mattia ed Alice due ragazzi che hanno grossi problemi da piccoli che si portano dietro nel corso delle loro vite. Mattia è un fissato con la matematica mentre Alice un'anoressica.
    La scrittura scorre bene, e il libro si legge velocemente.
    C'è una cosa che mi piaceva in particolare quando leggevo: la fissazione di Mattia per la matematica lo portava a ricondurre a questa o alla geometria qualsiasi cosa gli accadesse, anche cose insignificanti, tipo tagliare la carne ad esagoni regolari.

    Lo scrittore è un dottorando di fisica del Politecnico di Torino.
    Il romanzo ha ricevuto comunque due riconoscimenti di valore: il premio strega e il premio campiello per l'opera d'esordio.
    Per chi fosse interessato:
    Paolo Giordano
    La solitudine dei numeri primi
    Mondadori
    € 10 (mi pare perchè è un regalo)

    Stefano.

    venerdì 16 gennaio 2009

    Lattuga ripiena.


    Oggi una ricetta che ho trovato molto interessante (ad eccezione dei funghi che toglierò), tratta da Enotime. Si parla di lattuga. Non avendo una foto del preparato, ho pensato di ovviare con la simpatica signorina (Pamela Anderson) in tenuta lattughesca.

    Ingredienti (4 persone): 8 piccoli cespi di lattuga, 200 grammi di polpa di
    vitello macinata, 50 grammi di grana grattugiato, 200 grammi di prosciutto cotto
    non troppo magro macinato, 10 grammi di funghi secchi ammollati, 2 uova, 1
    panino con molta mollica, 1 rametto di maggiorana, 1 litro circa di brodo di
    carne, 1 spicchio d'aglio, 2 cucchiai di olio extravergine d'oliva, Sale e pepe
    quanto basta.


    Preparazione: pratica un taglio sulla cima di ogni cespo di lattuga, lavali e sbollentali nel brodo di carne per alcuni minuti. Lascia intiepidire quindi togli la parte centrale delle foglie. Rosola la carne di vitello in 2 cucchiai di olio insaporito con 1 spicchio d'aglio schiacciato. Passa nel mixer i cuori delle lattughe e i funghi ammollati e strizzati. Metti in una terrina e aggiungi la carne, il prosciutto, il formaggio grattugiato, 1 uovo intero e un tuorlo, la mollica di pane ammorbidita nel brodo e spezzettata, la maggiorana tritata, un poco di sale e pepe. Amalgama bene, quindi allarga le foglie dei cespi e riempili con il ripieno suddiviso in parti uguali. Richiudi le foglie e legale con filo da cucina, in modo da racchiudere al meglio il ripieno. Immergi nel brodo in ebollizione e lascia sobbollire per 20-25 minuti. Scola e slega i cespi, quindi servili accompagnando con patate lessate.

    E buon appetito.


    Melmo Staff.

    giovedì 15 gennaio 2009

    La cucina Kosher - Parte prima





    Parlando dell'inaugurazione del primo bistrot-kosher d'Europa, mi è venuto lo schiribizzo di andare a verificare cosa fosse la cucina kosher. E' una cosa molto interessante ma anche molto incasinata. Per fortuna ho torvato un sito dedicato al kosher in Italia (italykosher.com) dove sono riuscito a capire qualcosa di più. Vi riporto le cose principali, anche se vi avviso che è stato suddiviso in due parti. La prima da indicazioni sulla cucina in generale, nella seconda parleremo degli alimenti specifici.


    KOSHER in ebraico (o KASHER) significa atto o adatto ed è un termine generalmente impiegato per definire cibi preparati in conformità con le particolari regole alimentari ebraiche.

    Tutte le leggi alimentari ebraiche affondano le radici nella Bibbia, o più precisamente nel Pentateuco, in cui vengono forniti dettagli sugli animali, volatili, pesci e insetti non kosher. I saggi dell’ebraismo hanno studiato, interpretato e applicato le leggi del kosher per molti secoli. Migliaia di volumi sono stati scritti sull’argomento, molti dei quali datano di duemila anni fa. Questo vasto corpo di letteratura rabbinica è ciò che compone la legislazione kosher. Alcuni esempi di cibo non kosher: Animali, quali il maiale, il cavallo e il coniglio; volatili quali il gufo e l’aquila; pesci, quali il pesce gatto, l’anguilla, i frutti di mare, la piovra e gli insetti in generale. Inoltre, la carne e i volatili devono essere abbattuti da un rabbino esperto secondo norme ben precise e in maniera non dolorosa per renderne la carne kosher. Prodotti di carne e latte mescolati, anche se kosher all’origine, non sono kosher. Vi sono anche particolari norme concernenti il formaggio, il succo d’uva e il vino.
    Tutti gli ingredienti e i sotto ingredienti devono essere conformi alle leggi alimentari perché l’intero prodotto sia considerato kosher. Anche un solo ingrediente non kosher può far scartare l’intero prodotto: le patatine, tanto per fare un esempio a me caro, possono essere fritte in olio raffinato negli stessi impianti di raffinazione di grassi animali…
    Inoltre, il cibo kosher deve essere preparato con attrezzatura kosher anch’essa. Nel caso essa sia stata impiegata a caldo per la produzione di cibo non kosher, l’intera produzione non è kosher. L’attrezzatura e i macchinari devono essere kasherizzati con un particolare processo di pulizia per essere adatta alla produzione kosher.
    La supervisione o controllo kosher indica che un rabbino qualificato o un ente rabbinico supervisiona la produzione di un alimento al fine di garantire che esso è kosher, ossia conforme alle regoli alimentari ebraiche. Un rappresentante del rabbino o dell’ente rabbinico in questione effettua frequenti e regolari visite nello stabilimento senza preavviso, allo scopo di verificare che non ci siano stati cambiamenti che possano compromettere il suo stato di kosher.
    In generale, la supervisione si concentra su due aree:
    Ingredienti: tutti gli ingredienti e sotto ingredienti impiegati in un prodotto devono essere kosher.

    Attrezzatura: essa deve essere kosher e non può essere impiegata, se non debitamente Kosherizzata, sia per la produzione kosher che per quella non kosher.

    ATTENZIONE: il fatto che il cibo kosher richieda la benedizione di un rabbino, è puro mito.


    Non basta leggere l'etichetta: vari prodotti alimentari contengono ingredienti che possono essere kosher o non kosher a seconda dell’origine. Ad esempio, la glicerina può essere sia di origine animale che vegetale. Inoltre, molti ingredienti contengono componenti che non sono indicate nell’etichetta. Ad esempio, gli aromi sono composti da decine di ingredienti, ma solo la parola “AROMI” compare sull’etichetta. Nondimeno, il prodotto può essere stato fabbricato con attrezzatura non kosher.
    Come può il consumatore sapere che un prodotto è stato supervisionato?
    In generale, cercando un logo kosher come prova della supervisione.
    Vi sono numerosi simboli impiegati dalle agenzie rabbiniche di supervisione.



    (fine prima parte)



    Stefano.

    mercoledì 14 gennaio 2009

    Col di Lamo Azienda Agricola Col di Lamo ,una nota di colore a Montalcino.


    La seconda settimana di Dicembre, proprio mentre a Roma il biondo Tevere rischiava di esondare e tutt’Italia sembrava quasi sparire nel secondo diluvio universale, mi sono dovuto recare in Toscana, più esattamente in quel di Montalcino, per motivi di ricerca legati alla mia collaborazione con il Dipartimento Studi sull’impresa della Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata.
    Li ho avuto il piacere di visitare e soggiornare presso l’azienda agricola Col di Lamo di Giovanna Neri, quindi mi sono detto “perché non fare una bella recensione dei vini, dell’azienda e dell’agriturismo per il Melmo Blog?” e quindi eccomi qui a parlarvi di azienda e agriturismo, mentre in altra sede vi parlerò dei vini.

    La Col di Lamo è una piccola azienda Agricola di Montalcino, con 80 ettari di cui circa 8 a vigneto, suddivisa in 4 poderi, sui quali si ergono diversi vigneti, nuovi ma anche storici con oltre 50 anni di vita. La produzione si compone quindi di cereali e di uve che vengono poi sapientemente trasformate nella propria cantina in 3 linee di vino: Rosso di Montalcino, Lamo (un IGT che unisce tradizione e vitigni internazionali) e Brunello di Montalcino.
    Visitare la cantina, che si trova presso il paesino di Torrenieri (frazione di Montalcino) è stata una esperienza particolare: tutto l’ambiente è pervaso del colore, l’arancione, e di quel tocco femminile che contraddistinguono l’identità di questa azienda (la “zucca”, è chiamata la cantina amorevolmente e scherzosamente dalla sua titolare).
    Arancione e scritte verdi che, mi dice la titolare, son state peraltro dipinte a mano sotto la sua personale direzione.






    In realtà devo dire che l’esperienza alla cantina è particolare anche perché credo una delle poche di Montalcino per l’espressione del fatto che una cantina di produzione è soprattutto un luogo di lavoro e non un oggetto da vedere, una vetrina. Mi spiego meglio. In un territorio, come quello di Montalcino, dove si fa vino di alta qualità e dove si accolgono turisti anche poco o nulla interessati al vino, molte cantine sono agghindate a lussuosi salotti che più altro sembrano musei del vino dove si trovano cimeli non in uso…dove quasi non si sente l’odore del vino (non so se vi è mai capitato di vedere un tino botte o un tino di acciaio tirato a lucido….non vi da la sensazione che sia finto, che non sia in uso?). Quelle cantine son posti bellissimi, certo, con arredamenti e luci di un certo tipo che rendono l’ambiente accogliente ed elegante…ma la mia personalissima opinione è che se ciò va bene per una enoteca o per una sala degustazione di un produttore, quando è così anche in cantina…boh…la visita me la gusto sì (e degusto), però non lascia un segno nei miei ricordi.
    In questo caso invece emerge pienamente che si tratta di un posto di lavoro, pulito, accogliente, ma con quelle piccole imperfezioni e quella connotazione di vissuto che identificano un posto dove qualcuno passa la maggior parte del suo tempo.
    In una parola? Genuino!



    Attualmente manca presso la cantina uno spazio esclusivamente dedicato alla degustazione e alla vendita diretta dei vini, ma la titolare mi rassicura indicandomi che degustazioni per gruppi di persone si possono fare per gruppi di persone presso l’agriturismo, che si trova ad un chilometro circa dalla cantina in aperta campagna e che offre un ambiente più rilassante e più consono alla degustazione.
    La gentilezza della titolare nello spiegare il processo produttivo, le caratteristiche dei vini e in generale nel mettersi a disposizione è qualcosa di veramente eccezionale e che in poche altre cantine ho riscontrato a questi livelli (devo dire fin’ora solo laddove avevo già un rapporto personale di amicizia con il produttore).
    Uscendo dalla cantina ci rechiamo con Gianna Neri presso il Podere Grosseto, dove una casa colonica è stata accortamente ristrutturata e contiene oggi un appartamento della titolare e 3 appartamenti destinati agli ospiti dell’agriturismo.
    Ho soggiornato in uno dei 3 appartamenti, tutti e tre strutturati similmente, con ingresso indipendente, una ampia camera da letto matrimoniale, bagno con tutti i confort essenziali e salone con angolo cottura, e divano letto.
    Confortevole, ottimo per una coppia anche con figli, la cucina è una vera e propria cucina completa, dove si può preparare ciò che si vuole e, perché no, abbinarci un vino dell’azienda.



    Per la colazione è premura dell’azienda lasciare negli appartamenti il necessario. Mi si dice che dall’esterno si può anche godere di un panorama sulle colline intorno, cosa che però non ho potuto apprezzare vista la pioggia battente e la poca visibilità che c’è stata nei 2 giorni in cui ho dimorato lì.
    Devo dire che ci ho dormito veramente bene, cullato anche dal silenzio dello stare in campagna, e la mattina come a casa mia mi son potuto fare il caffè con la moka e scaldarmi un bicchiere di latte ancora in pigiama (cosa che apprezzo a differenza degli alberghi dove a meno di un costoso servizio in camera di devi vestire di tutto punto per fare colazione). I prezzi degli appartamenti sono assolutamente accessibili, si parla dai 65 agli 80 euro ad appartamento a notte, colazione inclusa.



    Per qualsiasi informazione su come visitare l’azienda, sui vini o come sfruttare il grazioso agriturismo, indico i riferimenti: Azienda Agricola Col di Lamo di Neri G. - Podere. Grosseto n° 28 - Torrenieri - Montalcino (SI) - Tel 0577.83.44.33 – http://www.coldilamo.com/ (al momento della mia visita il sito internet era in ristrutturazione, ma molto probabilmente quando leggerete qui sarà già tornato on line).



    Insomma, in conclusione, in particolare per l’accoglienza che so che riceverete, ma anche per i buoni prodotti, vi consiglio sia di visitare la cantina che di soggiornare presso l’agriturismo, che potrebbe anche essere un comodo punto di partenza per un enotour più ampio a Montalcino!



    Max.

    martedì 13 gennaio 2009

    Flash della gita a Jesi con gli Enogastrofili...

    In ordine cronologico...
    Cantina Colonnara, fase d'imbottigliamento.


    Targa all'ingresso della seconda cantina visitata...


    Gli Enogastrofili invadono Piantate Lunghe...


    Le mitiche botti dei Moroder...



    La prossima volta dove si va ?


    Marco.

    lunedì 12 gennaio 2009

    Verso un distretto dei vini piemontesi.

    Da viniesapori.net:
    Da oggi inizia l'iter per la fusione dei Distretti dei Vini “Langhe, Roero e Monferrato” e “Canavese, Coste del Sesia e Colline Novaresi”. L'accorpamento in un'unica entità, a breve termine, andrà a costituire formalmente il "Distretto dei Vini Piemontese".
    I Consigli con i relativi Presidenti e Comitati esecutivi, di cui all'art. 6 della legge regionale 20/99 decadono con l'entrata in vigore della presente legge, mentre i progetti e i piani programmati dai rispettivi Distretti non subiranno variazioni. L'Assessore regionale della agricoltura, Mino Taricco ha nominato Commissario, per la fase transitoria il Presidente del Distretto dei Vini “Langhe, Roero e Monferrato”, Davide Sandalo, attribuendogli poteri di straordinaria amministrazione sino all'avvenuta fusione dei due distretti nel “Distretto dei vini Piemontese”.
    Dichiara il Presidente - Commissario, Davide Sandalo: "Intendo avviare un corretto processo di unificazione e collaborazione che favorisca la creazione del Distretto dei Vini Piemontese, proseguire l'operato intrapreso e interpretare il Bando secondo quello già deciso e conconcordato insieme, nei mesi precedenti.
    Mi avvarrò di un gruppo di consulenti di fiducia, scelti tra i membri stessi del Comitato del Distretto dei vini, oggi dimissionari.
    Si tratta ora di dare nuova linfa e contenuti al nuovo 'Distretto dei Vini Piemontese', che dovrà avere sia una funzione programmatica e propositiva sia una funzione di ridistribuzione finanziaria. Lancio l'appello alle Province, tutte, perché stiano vicine alla filiera in un momento di passaggio così delicato, come quello attuale per il mondo dei vini”.

    Stefano.