venerdì 20 marzo 2009

The Dark Knight - Parte 2.


“E’ una nuvola? E’ un uccello? E’ un aereo?”

Se il mondo dei fumetti era sorprendente, incredbile, se sfidava le leggi della fisica e di tutto quello che l’uomo comune dava per scontato, allo stesso modo avrebbero fatto i film ad esso ispirati.
Con questi obiettivi la Warner Bros diede incarico a Richard Donner (Arma letale, Goonies, Maverick…), allora regista semi sconosciuto con all’attivo solo il successo horror “the Omen” (in Italia “la maledizione di Damien”) di dirigere la pellicola tratta dal supereroe per eccellenza: Superman.

La produzione sotto tanti aspetti complessa, e sia durante che dopo la release del film portò alla luce molti malumori, legati soprattuto alle idee contrastanti che nascono nella gestione di materiale così articolato e dal potenziale commerciale inesaurbile, tali da estromettere Donner nel proseguo della serie (…ma questa è un'altra storia).

Al di fuori di queste considerazioni, il film “Superman” permise di definere le linee guida del genere e che si andarono consolidando sempre di più negli anni a venire.
Il vademecum di Donner era piuttosto semplice: totale rispetto del materiale originale, inteso come rispetto delle origini, del backgorund e del contesto del personaggio.

A questo si aggiunse l’acume commerciale, grazie al quale si capì definitivamente che per raccontare le gesta di un gande personaggio era necessario un grande cast, ma soprattutto vinse l’idea che sebbene l’attore principale non fosse rilevante, in quanto la sua fama avrebbe potuta risultare deleteria per il main character, più risalto avrebbero avuto i comprimari e soprattutto gli avversari.

Per queste ragioni Superman divenne “figlio” di Marlon Brando e Gene Ackman (allora molto in auge per “il braccio violento della legge”) fu scritturato per il ruolo della geniale mente criminale nota col nome di Lex Luthor.
In questo modo il pubblico avrebbe percepito lo spessore del personaggio sulla base di riferimenti a lui noti.
Lo sfortunato Chistopher Reeve, allora attore di teatro, fu poi la rivelazione della pellicola e il suo nome rimase legato nel bene e nel male, come tutti sappiamo, al personaggio principale, Superman.

Da tali premesse sembrava non si potesse fallire, eppure da un inizio sfolgarante seguirono poi, crescendo, una serie di fallimenti quali, a parte Superman II (servirebbe articolo a parte…) Superman III e IV, che portarono le major ad abbandonare per qualche anno i progetti legati ai super eroi.

Il motivo della disfatta era abbastanza banale in quanto era stata tradita la linea di definita da Donner, e addirittura su due fronti: il primo fu proprio quello di contestualizzare il personaggio all’interno di contenitori narrativi, allora attuali ma scollati dalle avventure narrate nei fumetti (la minaccia atomica, guerra fredda, pericoli insiti nell’informatica), la seconda di limitare le dinamiche dei protagonisti a schemi ripetitivi e farserchi.

L’interesse del pubblico scemò visto che negli anni si faceva più maturo, in quanto come accade per tutte le “serie”, il bambino che vede il primo episodio cresce col progredire della saga, e quindi la sua percezione dei contenuti si evolve, così come la stessa capacità di giudizio sulla qualità del prodotto finale.

Tra gli operatori di hollywood c’era chi sosteneva che il fenomeno Superman fosse stato limitato e non ripetibile, chi invece cercò di rilanciare l’immagine dei personaggi dei fumetti nel cinama, e tra le fila di questi accaniti sostenitori c’era proprio il vecchio Dick Donner e sua moglie Laura, che nel frattempo cercavano di accaparrarsi diritti per trasporre altre serie a fumetti (..una fra tutte quella degli X-men, e presto torneremo a parlarne).

La Warner Bros non si arrese e organizzò la sua rentreè in ambito supereroistico col progetto “Batman”, fratello di casa editrice (DC comics) proprio di Superman.
La storia narra che in realtà la lavorazione del film iniziò già nell’83, e molto tempo fu perso proprio per inquadrare il personagigo principale.

In più di 50 anni di storie l’uomo pipistrello aveva avuto molte incarnazioni tra cui la più nota al pubblico era quella del telefilm con Adam West del 1968.
Il dibatitto era legato proprio all’immagine che si voleva dare in pasto alla gente, in quanto se da una parte il personaggio originale descritto dallo stesso Bob Kane fosse un serio e cupo miliardario, dal drammatico passato, seppur con una “spalla” più solare nota come “Robin”, dall’altra l’evoluzione temporale e gli sceneggiatori che si erano susseguiti l’avevano trasformato nella macchietta “con la pancia” che tutti conosciamo.

In questa situazione di stallo, si presentò un raggio di sole, o sarebbe meglio dire, visti i toni, di luna.
Frank Miller realizzò in quegli anni uno dei suoi massimi capolavori, ovvero il già citato “The Return of the Dark Knight”.
Nella graphic novel, Batman è riratto come un eroe in declino, vecchio e stanco, non c’è traccia alcuna del robin che conosciamo, la batmobile non è un’auto sportiva e veloce ma un brutale tank d’assalto, e il mondo colorato dei fumetti è invece sostitutio da una trattazione dura, realistica, dai toni cupi e priva di retorica buonista.
I nemici perdono di una definizione netta, non più bianco o nero, ma livelli di grigio, la morale è soffocata dalla crudeltà degli eventi e anche gli amici (Superman) possono risultare avversari da combattere fino alle estreme conseguenze.

Questa rinascita oscura del personaggio permise agli sceneggiatori di trovare il giusto soggetto per il film, la storia di un eroe solitario, drammatico, tetro come la città teatro delle sue gesta, Gotham.
E’ questo dunque il cavaliere oscuro? E’ questo il vero Batman citato nelle riviste di settore del 1988?
Beh, col senno di poi ci viene da sorridere, e potremmo chiudere la faccenda con un dignitoso “buona la prima”, ma sarebbe troppo semplicistico, non vi pare?

Sicuramente merito della produzione fu quello di chiudere col passato scanzonato e rumoroso del batman televisivo, portanto all’attenzione dei media il concetto di come un supereroe fumettistico può essere un oggetto narrativo “adulto” tale da essere rappresentato senza sberleffi o calzamaglie in una pellicola con più livelli di lettura.
Certo il processo si è avvalso della spinta di una nuova vena creativa dark che “infettò” il mondo del fumetto per tutti i successivi anni 90, ma questo può essere solo un merito.
Altro merito della Warner fu la scelta del cast, ed è inutile aggiungere altro sul ruolo, o meglio dire, del peso, che Jack Nicholson come Joker (..o la Basinger, perché no?) ebbe nel lancio, nell’economia e nella resa finale del film.

Ma se da un lato questo fu un vantaggio, è innegabile per chi ama i comics, come questa scelta snaturò gran parte del senso del personaggio, in quanto la complessità del Joker, avrebbe richiesto un attore che non lo soffocasse col suo carisma.
Sullo schermo si vede Jack Nicholson, ci si esalta per la sua espressività e si sorride al suo “gigioneggiare”, ma è Jack che interpreta il Joker, non “Il” Joker.
Il Joker vero, il pazzo, l’instabile, shizofrenico, comico, eccessivo Joker è perduto in una eco di quello che si stava cercando forse di evitare, ovvero il clown interpretato da Cesar Romero nel noto telefilm…peccato!

Altro elemento che impreziosice il film e al contempo lo danneggia è il suo stesso regista, un Tim Burton messo a freno dalla produzione che cerca di far esplodere il suo lato più dark e gotico (..si libererà del tutto con l’incompreso seguito Batman returns).
Le capacità visionarie del regista mal si addicono a blockbuster costruiti per rispattere canoni dettati del marketing (basti pensare al fiasco del remake de “il pianeta delle scimmie”, ahinoi sempre opera sua), e sebbene la sceneggiatura sia stata confezionata in modo tale da dare poco spazio alle interpretazioni, il film ne uscirà nei giudizi degli anni successivi come “il Batman di Tim burton”, immagine poi rafforzata dagli errori incommentabili di Joel Shumacher (è un articolo serio e non diremo altro su gli infami Batman Forever e Batman & Robin).

L’interpretazione del regista si sente particolarmente oltre che nella scelta delle scenografie molto più gotiche di quanto ci si potesse aspettare, anche della scelta dell’attore per la parte di Burce Wayne.
Al tempo Michael Keaton era l’attore feticcio di Tim burton (probabilmente se avesse girato il film oggi avrebbe scelto Jhonny Depp), e per rappresentare la dualità del personaggio, quale migliore ipotesi se non quella di affidare il ruolo del miliardario disturbato a qualcuno del tutto privo di una fisicità impontente, come invece batman dovrebbe richiedere?
La risposta è tutta nelle tematiche burtoniane, e quindi in quel microcosmo del tutto centrata.

L’evoluzione del mercato, il cambiamento di ritmo nella vita quotidiana e la sempre più pressante informatizzazione trasformarorano nuovaemente il pubblico che andò al cinema per vedere l’uomo pipistrello nell’estate del 1988, e di nuovo la miopia delle macchina hollywoodina ricadde nell’errore primario.

La troppa semplificiazione delle tematiche in oggetto, e il distacco dal meteriale originario fece allontanare il pubblico dagli eroi sul grande schermo, ma questa volta, diversamente dal caso di Superman il marketing aveva spremuto troppo oltre il “giocattolo”, facendolo così sprofondare in un limbo di antipatia e disinteresse fino alla fine degli anni 90.

Per fortuna arrivò il nuovo millennio il 2000 si aprì col vagito di una casa editrice che per anni aveva osservato l’evolversi del mecato cinematografico legato ai personaggi die fumetti, era la Marvel Comics.

Dopo gli esperimenti disastrosi degli anni 70, era rimasta in “sordina”, lavorando a piccole produzione, per lo più nell’ambito della televisione via cavo americana, finchè non produsse insieme alla New Line Cinema (quella dei vari Nightmare nonché La saga del Signore degli anelli) un film coraggioso e “sperimentale”, il titolo era Blade e fu un grande successo di settore.

Questo esperimento ben riuscito fu la scintilla che innescò una reazione a catena ela successiva esplosione di una rinnovata vena creativa e crescente entusiasmo.
Un produttore rilanciò le sorti del cinema supereroistico con uno slogan più moderno: “L’evoluzione è cominciata!”Il produttore era sempre Richard Donner, e il film era X-Men……

(…continua)

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