giovedì 12 luglio 2007

Povero aglio...cosa devi sopportare!










Caro Carlo Rossella, questo pezzo lo dedico a te e sopratutto alla ciclopica, mi sia consentito, stronzata (chiedo venia...) che hai detto pochi giorni fa. La prima parte è tratta dal Corriere della Sera, che in mancanza di notizie ha ben pensato di dedicarci una pagina apposta il 19 giugno.




Allium sativum, nome volgare aglio. Una pianta bulbosa che da sempre divide. O lo ami o lo odi. Senza vie di mezzo. Da una parte il sapore e vantate virtù terapeutiche. Dall’altra l’alito pesante e disturbi di stomaco. Tanto che è partita la crociata per «deaglizzare » quanti più ristoranti possibile, crociata lanciata dal direttore del Tg5 Carlo Rossella nella sua rubrica «Alta società» sul Foglio. «Puzza, io non lo digerisco, lo evito come un vampiro», racconta serissimo Rossella, che promette di pubblicare in un’edizione speciale di «Alta società» la mappa dettagliata dei ristoranti italiani dove l’allium sativum è bandito. Compito difficile, visto che da secoli nella cucina italiana l’aglio la fa da padrone e trovare un locale dove non viene utilizzato è complicato.




L’elenco lo sta preparando Rossella con alcuni suoi amici. «Le fregature più grandi vengono dalla pasta — spiega il direttore del Tg5 — lì ce lo infilano, nel soffritto. Ma io so come dribblarlo, vengo usato da alcuni amici come annusatore ufficiale, vado anche in cucina a controllare».
Più facile da fare al Nord che al Sud. Perché la pianta della discordia — imparentata con la cipolla e probabilmente nata in Sicilia — divide anche l’Italia. Nel Meridione zone franche non ce ne sono. «Se vogliono essere inseriti nella mia lista devono decidersi a togliere l’aglio», ammonisce Rossella. Anche se ammette che in alcuni ristoranti, come Paolino e Villa Verde a Capri e da Dora a Napoli basta chiedere per avere. Al centro-nord va meglio. «I ristoranti deaglizzati sarebbero molti di più, ma sono dei carbonari, non hanno il coraggio di sfidare lo strapotere della tradizione».




Tra i primi c’è stato a Roma Filippo La Mantia, chef siciliano della Trattoria, tra i ristoranti più trendy della capitale. «Faccio persino la caponata di melanzane senz’aglio — dice —. All’inizio ero criticatissimo ma ho scelto di cucinare come mi piace mangiare. Drastica eliminazione di aglio, burro e soffritti. Cucino col pomodoro fresco e gli odori ». Da lui sono fissi Bobo Craxi, Paolo De Castro, Alfonso Pecoraro Scanio. E s’è visto pure Prodi. «Purtroppo» i grandi cuochi come Vissani, Colonna, Don Alfonso non si sono arruolati nella crociata di Rossella. «Per carità, ottimi chef, ma usano l’aglio. Chi ha frequenti pranzi di lavoro lo tiene a debita distanza». C’è chi non digerisce e chi ne è allergico ma tra manager, politici, giornalisti e attori, i nemici dell’aglio sono sempre più numerosi. Come Marco Tronchetti Provera e Luca Cordero di Montezemolo. O i due giovani Elkann, che hanno ereditato l’intolleranza dal nonno Gianni. E Monica Bellucci, Raoul Bova, Manuela Arcuri.





Una lista di uomini e donne famose. A cui però se ne contrappone un’altra, composta di uomini e donne altrettanto famosi: da Giancarlo Elia Valori (che lo divora a spicchi) a Stefania Prestigiacomo (lo usa per le salse) ad Anna Serafini. Un convertito invece è Emilio Fede: gli piaceva l’aglio, ma ha smesso quando ha conosciuto Berlusconi, che tiene moltissimo all’alito fresco. Certo che la lobby del «no» cresce. A Roma Paola Micara de La Barchetta in cucina ha messo il cartello: «Vietato l’ingresso all’aglio». «I miei cuochi napoletani— dice —, sono capaci di fare la pizza di scarole senza». Quindi c’è da attendersi una conversione in massa degli chef? Proprio per niente, attacca Antonello Colonna, per il quale la cucina senz’aglio «è soltanto una nuova moda ». Lui, che è riuscito a far mangiare l’aglio persino a Berlusconi, sottolinea che il segreto sta nel come lo cucini. «Se non lo soffriggi, se lo schiacci crudo, se lo fai bollire, i piatti vengono ottimi e digeribili. L’aglio è il re della cucina. Eliminarlo è come togliere i violini da una grande orchestra».





Una lotta di titani, tra leggende e verità. Tra le decantate qualità ci sarebbe anche quella di guarire l’ipertensione. «Forse,ma sicuramente fa salire la pressione a chi sta vicino al mangiatore di aglio», è la replica. La sfida è solo all’inizio.




A tal proposito mi piace riportare il fantastico commento che Marco Bolasco, il curatore della guida dei ristoranti del Gambero Rosso, ha espresso sul suo blog, In Punta di Forchetta: "Geniale Rossella, riesce sempre a sorprendermi. Probabilmente il direttore non sa che negli USA alla domanda "se le dico cucina italiana cosa le viene in mente?" la risposta è: aglio, ben prima della pizza. Meno male che almeno Antonello Colonna è intervenuto a difesa di uno dei simboli della cucina mediterranea, che peraltro fa anche bene. Ma, caro Antonello, come dici è questione di mode. Comunque bel colpo Rossella, continua a mangiare pesce crudo che quello sì che non puzza e fa bene... ".







Stefano

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