mercoledì 19 marzo 2008

Il vino di Cavalli... e degli altri



Tratto da Repubblica.it:
Ha l’etichetta ghepardata, si chiama Cavalli, ma per provare al mondo che è un vino di qualità Tommaso Cavalli, figlio dello stilista Roberto, ha chiamato degustatori internazionali per stappare le prime bottiglie nella sua tenuta di Panzano, nel Chianti. Schivo, facile ad arrossire, come un contadino di una volta, Tommaso 39 anni e due figli ha voluto mettere alla prova l’annata che debutta ora sul mercato, il 2004, che farà il suo esordio in 30 ristoranti ed enoteche toscane. Poi, punterà ai mercati americano, inglese, svizzero. E infine alla Russia.

«Con Carlo Ferrini, l’enologo, abbiamo deciso racconta di produrre un vino rosso dal gusto internazionale, raffinato, eccellente, esclusivo. Un vino riconoscibile nel bicchiere quanto gli abiti di Roberto Cavalli in passerella, questo è il mio sogno». Un Igt Toscana, indicazione geografica tipica, frutto dell'assemblaggio di Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Alicante. Le bottiglie portano il marchio di famiglia, e su questo il padre Roberto ha tenuto duro. Sempre controcorrente. «Il richiamo alla storia della terra, ai personaggi, oppure l’acquisizione di un brand consolidato, sono le due vie obbligate, da manuale, per estendere il proprio business dalla moda al vino, settori con contigui a differenza degli occhiali o dei profumi», racconta Giacomo Santucci, già uomo chiave di Gucci, Ferragamo, Dolce &Gabbana, e oggi advisor di Value Partners.

Sempre controcorrente, Roberto Cavalli vuole tentare una nuova via, estendendo il suo marchio al vino ma senza farne un gadget. Finora ha dato prova di sapersi muovere bene sul mercato internazionale del lusso, riuscendo a conquistare una consistente quota del grande spazio lasciato vuoto dalla scomparsa di Gianni Versace. Gioielli, orologi, occhiali, l’estensione del marchio crea valore aggiunto. E il fatturato di Just Cavalli, che firma in licenza con Morellato e Marcolin questi prodotti, è cresciuto tra il 2005 e il 2006 del 45% e nel 2007 ha avuto un ulteriore balzo del 47%. Ora la nuova sfida. Il vino e gli alcolici hanno acquisito un ruolo chiave nel mercato mondiale del lusso. Le grandi multinazionali fatto incetta di marchi. Bernard Arnault, azionista di controllo di Lvmh, numero uno al mondo, insieme alle griffe del fashion Luois Vuitton, Dior, Loewe, ha in portafoglio dagli champagne Moët&Chandon, Veuve Cliquot e Krug fino al cognac Hennessy. Ha comprato nel 1999 lo château d’Yquem, dove si produce il Sauternes, il vino dolce più buono e più caro al mondo, nel 1999 insieme al magnate belga Albert Frère dal conte Alexandre de Lur Saluces che dopo oltre due secoli ha dovuto cedere il business di famiglia. L’anno prima, sempre con Frère aveva acquisito Cheval Blanc, un altro mito enologico, che vende tra i 400 e i 2000 euro l’annata 1961. Ed è il buen ritiro dove Arnault e Frère ricevono e discutono con i partner di grandi affari. Ma contribuisce e non poco ai 15 miliardi di dollari di fatturato globale di Lvmh.

Champagne, vini, liquori, nel lusso sono i segmenti dove la soglia di ingresso è più bassa, dunque più difficile aprirsi un varco per chi inizia da zero, evidenzia l’ultimo report sul mercato del lusso di Merril Lynch. O si compra, o si lancia un marchio exnovo. La sfida più difficile. Marco Caprai, poco più che quarantenne, ce l’ha fatta: «Montefalco, un villaggio che risale ai tempi dell’Impero Romano, oggi è epicentro del più entusiasmante movimento vitivinicolo d’Italia», scrive RobbReport, bibbia mondiale del lusso con un suo indice finanziario di settore ha dedicato al marchio Arnaldo Caprai e a Montefalco (Perugia) un servizio da copertina. La cantina fattura oltre 5 milioni di euro, per il 25% realizzato all’estero, La Arnaldo Caprai nasce come gruppo tessile e ha in portafoglio anche il marchio Cruciani, cachemire tra i migliori al mondo, gestito da Luca Caprai, fratello di Marco.

Una diversificazione di portafoglio, seguita anche da Antonio Moretti, imprenditore della moda con Arfango e Car Shoe, in società con Prada. Nel vino ha iniziato con Tenuta Sette Ponti, nella zona del Chianti Aretino. Poi si sono aggiunti Poggio al Lupo, in Maremma, nella zona del Morellino; Feudo Maccari, in Sicilia e, ora con Orma, approdato anche a Bolgheri (Livorno), dove è nato il Sassicaia, primo vino a portare l’Italia nell’olimpo dell’enologia. «Sto seriamente meditando di convertirmi definitivamente alla viticoltura», racconta. Le sue etichette sono superpremiate da Wine Spectator, la più autorevole rivista enologica del mondo. Come quelle di Ferruccio Ferragamo, che ha scelto il marchio Il Borro per le sue bottiglie, dal nome dell’antico borgo che ha restaurato e trasformato in albergo nel Chianti Aretino. Le sue bottiglie si vendono negli Usa come in India. Il giro d’affari supera i 2 milioni di euro, minimo rispetto al grande giro d’affari del gruppo che si accinge al grande salto in Borsa ma in salita.

Uscire dalla logica del singolo prodotto o del singolo comparto, per puntare all’intero settore dell’alta qualità. E’ questo l’obiettivo di Cavalli, che già lo scorso anno ha lanciato una Vodka con il brand della maison. «Il made in Italy fa riferimento a dimensione di territorio, è andata benissimo per tanti anni, ma oggi non basta più. Si deve passare al "made by", che vuol dire la reputazione che si ottiene sul mercato oltre al prodotto, con la capacità di servizio, di innovazione, di creare nei settori moda e dei beni intangibili delle storie di successo, di eccellenza», racconta Stefania Saviolo, docente di economia alla Bocconi, direttore del master in Fashion Management, che ha recentemente coordinato uno studio sulle strategie del futuro. Cavalli Selection ha già ottenuto 90 su 100 da Wine spectator. E Cavalli Collection, la linea di alta gamma, è stata già quasi del tutto prenotata dal mercato russo.


Come sarà questo vino? Cerchiamo di essere scevri da qualsiasi manifestazione di pregiudizio del tipo: "farà schifo perchè che ne capisce Cavalli di vino?" o del tipo "Sarà buonissimo perchè hanno i soldi per farlo come si deve!". O peggio ancora stupidaggini tipo: "E' solo un'operazione di marketing" senza sapere cosa vuol dire questo termine. Se mi capiterà l'occasione lo assaggerò giudicandolo per quello che è ben sapendo, tuttavia, che il taglio bordolese italiano non è dei miei preferiti.


Stefano.

Nessun commento:

Posta un commento