lunedì 30 giugno 2008

L'effetto dei pesticidi.

Tratto da

Enotime di giugno:



E’ proprio vero che le notizie possono essere lette in molti modi. In questi giorni sono giunte (....)molte notizie inerenti i residui di antiparassitari contenuti nelle produzioni agricole destinate all’alimentazione. L’ultimo rapporto in ordine di tempo, presentato la settimana scorsa, si chiama “Pesticidi nel piatto 2008” ed è stato realizzato da Legambiente sulla base dei dati forniti dai laboratori pubblici provinciali e regionali relativi alle analisi condotte nel corso del 2007. Questo rapporto ha determinato reazioni trionfalistiche da parte delle principali associazioni di agricoltori, Coldiretti e Cia in primo piano, perchè evidenziano come il 99% dei campioni di frutta, verdura, vino e olio contengono residui chimici al di sotto dei limiti di legge, mentre Legambiente al contrario sottolinea che rimane ancora troppo alta la percentuale di campioni contaminati da uno o più residui antiparassitari, con in testa la frutta con ben il 47,4% dei campioni esaminati, seguita dai prodotti derivati, tra i quali olio e vino con un 18,3% e dalla verdura con il 15,4%.
Chi ha ragione? Tutti e due! Vediamo di capirci qualcosa di più.




Ogni pesticida, ma forse sarebbe meglio utilizzare il più tranquiliizzante termine tecnico “fitofarmaco”, possiede un particolare principio attivo, cioè una sostanza che agisce direttamente generando l’effetto desiderato. Hanno nomi un po’ sinistri come Chlorpirifos, Procimidone, Captano, Carbofuran, Cyprodinil, Diclofluanide, Dimetoato, Ditiocarbammati, Endosulfan, Fenitrotion, Imazalil, Malathion, Metalaxil, Tiabendazolo. Clothianidin, Thiamethoxam, Fipronil e Imidaclopridsolo per citare alcuni tra i più utilizzati. Ovviamente sono tutte molecole sintetiche prodotte prevalentemente da grandi multinazionali, assolutamente tossiche e molte di esse sospettate ampiamente di essere cangerogene.

Ebbene, il legislatore europeo finora si è premurato di stabilire dei limiti massimi di pericolosità relativamente ad ogni singolo principio attivo, limite che non dovrebbe mai essere suparato, ma non ha preso in considerazione il fatto (o qualcuno lo ha convinto che non era il caso di prenderlo in considerazione...) che ormai in agricoltura si usano decine e centinaia di principi attivi su una stessa coltura. Questi cocktails di fitofarmaci generano bassi residui finali per ognuno di essi, ma se sommiamo tutti questi “microresidui” otteniamo alla fine un bel “macroresiduo”, la cui sommatoria supera praticamente sempre i limiti legali relativi alle singole sostanze.

Quindi le associazioni degli agricoltori ci stanno dicendo che sono ben felici perchè mediamente “solo” l’1% delle loro produzioni è fuorilegge, cioè presenta un singolo principio attivo è oltre i limiti legali (in particolare risultano regolari 99,3% delle verdure, l'98,3% della frutta, il 98,1% dell'olio di oliva, il 99,8% del vino e addirittura del 100% della passata di pomodoro), mentre Legambiente molto più pragmaticamente, sostiene che nei campioni esaminati sono presenti troppi microresidui di differenti pesticidi anche se la legge attuale è dalla loro parte. Pur aumentando le evidenze scientifiche della gravità dei pesticidi sulla salute umana e ambientale non si è ancora provveduto a cambiare una legislazione ferma da trent'anni che non prevede un limite alla somma di più residui nello stesso alimento, ignorando in questo modo il principio di precauzione. Tra i casi eclatanti, anche quest'anno, le mele che guidano la poco invidiabile classifica della frutta più contaminata da microresidui di fitofarmaci: solo il 38,8% è ancora esente da pesticidi, mentre il 26% dei campioni analizzati presenta un principio attivo, il 34,1% contiene più di un residuo e l'1,1% risulta irregolare. Altri frutti poco virtuosi sembrano essere gli agrumi: su 746 campioni analizzati 14 risultano irregolari (1,9%), 386 regolari senza residuo (51,7%), 219 regolari con un residuo (29,4%) e ben 127 (pari al 17%) contaminati da più di un residuo. Oltre l'81,6% delle verdure analizzate risulta, invece, regolare e privo di residui chimici, il 18% presenta uno o più residui e lo 0,3% è proprio irregolare.

Un segnale preoccupante arriva, invece, dalle analisi dei prodotti derivati, in cui si è registrato un aumento dei casi di contaminazione, particolarmente nei campioni di vino e olio, ma non sono indenni neanche succhi di frutta ed omogeneizzati, classicamente destinati ai bambini, che sovente sono anche aggiunti di coloranti, aromi e conservanti. Secondo la D.ssa Catherine Leclercq, dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, c'è una correlazione diretta tra l'assunzione di additivi ed aromi alimentari e le forme di intolleranza, e più in generale tra la dieta alimentare dei bambini e la diffusione di allergie.

Uno studio britannico sugli effetti combinati di quattro additivi alimentari comuni, svolto dalla Soil Association e Organix insieme all'Università di Liverpool, ha evidenziato che additivi largamente impiegati in prodotti alimentari molto diffusi e popolari tra i bambini, quali tavolette di cioccolata, snack e succhi di frutta (E 133 blu brillante, E 621 glutammato monosodico, E 104 giallo di chinolina, E 951 aspartame) combinati insieme sortiscono un effetto sinergico di neurotossicità largamente più potente di ciascuno dei prodotti preso singolarmente.
Ma concentriamoci ora sul vino.

Può essere utile tornare su una ricerca della Pesticide Action Network Europe resa pubblica ad Aprile di quest’anno, che ha analizzato 40 bottiglie di vino in vendita in Europa provenienti da Australia, Austria, Cile, Francia, Italia, Germania, Portogallo e Sud Africa. Tra di essi 34 provenivano da agricoltura convenzionale e 6 da agricoltura bilogica. In tutti i vini da agricoltura convenzionale si sono riscontrate “tracce” di residui di pesticidi, così come su uno dei sei campioni proveniente da agricoltura biologica.
Nelle bottiglie di vino prodotto con metodi convenzionali si sono rilevate in media tracce di 4 diversi antiparassitari, con un picco di 10 in un campione. Le analisi hanno evidenziato la presenza in totale di ben 24 pesticidi. Ma, per carità, tutto perfettamente entro i termini di legge!! (maggiori info sull sito http://www.pan-europe.info/)

Quadro inquietante, mi pare, ancor più se si pensa che queste cose cadono spesso nel dimenticatoio e che il bio alla fine costa e se lo possono permettere con una certa continuità solo in pochi.


Stefano.

sabato 28 giugno 2008

Gocce di Sicilia di Andrea Camilleri.


Sono sette mini racconti, per ,complessivamente, 93 pagine in tutto.
Sette stralci di vita siciliana, raccontati in prima persona dall'autore che si rifanno ad anni della sua infanzia o poco dopo.
Per due di questi mini racconti chi, come me, ha letto tutto dell'autore, ha già sentito parlare.
Parlo di "Ipotesi sulla scomparsa di Antonio Patò" e di "Piace il vino a San Calo'".
Sono sette piccoli spunti per entrare nell'atmosfera siciliana e leggendo il libricino ci si riesce benissimo.
Penso di non sbagliarmi se dico che non sono del tutto inediti, poichè da una mia breve ricerca mi sembra che tra il 1995 ed il 2000 siano stati pubblicati da "La Stampa".

Consigliato a chi piace leggere racconti brevi ed emozionanti.


Gocce di Sicilia, edizioni dell'Altana, prezzo Euro 8,00.


Marco.

venerdì 27 giugno 2008

Il cesanese Docg



Dagli amici del Corriere del Vino:



Il Comitato Nazionale per la Tutela dei Vini ha dato “parere positivo” per il riconoscimento della Denominazione d’Origine Controllata e Garantita al Cesanese del Piglio che si avvia così a conquistare il titolo di “prima Docg del Lazio”.Il nuovo disciplinare, discusso in audizione pubblica, è stato approvato e prevede due tipologie: Cesanese del Piglio e Cesanese del Piglio Superiore, con la menzione di Riserva per i vini invecchiati oltre 18 mesi Il via libera definitivo avverrà con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.Il presidente del Consorzio, Paolo Perinelli, nel manifestare “la grande soddisfazione per riconoscimento di particolare pregio qualitativo raggiunto grazie alla determinazione di tutti gli attori del territorio”, esprime gratitudine all’Agenzia Regionale di Sviluppo Agricolo (Arsial) che ha sostenuto fin dalla nascita il progetto, con professionalità e competenza.Dopo la volata al traguardo della Doc nel 1973 ora - sottolinea Perinelli - spetterà agli 85 viticoltori e 20 aziende produttrici valorizzare il traguardo raggiunto perché la prima Docg del Lazio non si confronterà nel mercato con i grandi numeri, ma con la qualità e la coerenza dei suoi prodotti”.Tra i prodotti a certificazione i vini a Docg sono quelli più pregiati, vengono sottoposti a controlli molto severi, e commercializzati in bottiglie numerate con un contrassegno dello Stato a garanzia dell’origine, e della qualità del prodotto.“Siamo molto contenti - ha commentato l’assessore all’Agricoltura della Regione Lazio, Daniela Valentini - del riconoscimento ottenuto dal Cesanese del Piglio: si tratta di un anello di particolare valenza che si aggiunge al percorso di crescita intrapreso dal vigneto Lazio.
Ciò significa che gli sforzi, degli imprenditori vitivinicoli e nostri, stanno dando buoni frutti”.Il commissario straordinario dell’Arsial Fabio Massimo Pallottini è “particolarmente soddisfatto per il riconoscimento ottenuto sia da un prodotto d’eccellenza del territorio che da un tessuto produttivo particolarmente dinamico; un comparto con trend di crescita che esprime valori importanti sul versante qualità. La prima Docg del Lazio sancisce l’ingresso nel gotha enologico nazionale e offre un’arma in più per veicolare questa pregiata produzione nel mondo della ristorazione, a partire da quella romana.
L’Arsial ha sempre creduto nel Cesanese, e ha accompagnato con i suoi tecnici la sua crescita qualitativa, a conferma della strategicità del ruolo dell’Agenzia regionale nel supportare la competitività delle imprese del Lazio. Ora occorrerà lavorare ancora sul territorio - spiega ancora Pallottini - ampliando la produzione, ma con intelligenza”.
Il territorio di produzione delle uve da destinare ai vini Docg Cesanese del Piglio comprende l’intero territorio dei Comuni di Piglio e Serrone, ed in parte di quello dei Comuni di Acuto, Anagni e Paliano (Frosinone).

giovedì 26 giugno 2008

Evento a Taurasi

E questo è il video dell'evento:

Melmo con gli Enogastrofili a Taurasi...



Quando è più’ sera che pomeriggio e le ombre cominciano ad allungarsi, la comitiva allegra, ma composta , degli Enogastrofili si ritrova a scendere dal pullman per raggiungere il maestoso castello medievale di Taurasi.
La circostanza è particolarmente fortunata.
Essendo sabato 14 giugno la ricorrenza del santo patrono del paese, possiamo assistere, con discrezione assoluta, alla tradizionale processione che porta la statua del santo in chiesa.
Straordinari flash di un’Italia che non vuole dimenticare o disperdere le proprie origini…a me fa sempre particolare piacere potervi assistere e anche agli altri della comitiva non dispiace “perdere” cinque minuti, prima di varcare la storica porta del ghetto.


L’entrata nella sala del castello lascia a bocca aperta i presenti, la sistemazione è degna di un ricevimento importante, l’eleganza, senza eccessi, è calorosa.
Solo un attimo di piccolo impaccio per sistemarsi…e tutti possono godere dell’ottimo aperitivo: un aromatico Greco di Tufo della cantina Antica Hirpinia abbinato con una pregevole bruschetta con il lardo profumato.
L’abbinamento risulterà un po’ spericolato, ma si rileverà vincente.
Almeno a giudicare la fretta con cui sia l'uno, che l’altro vengono terminati.
Gli ospiti, messi subito a loro agio da un servizio impeccabile, possono girare nelle stanze del castello che uniscono eleganza e storia.
Qualcuno raggiunge la cupola del castello, da dove si può’ ammirare il bellissimo panorama sottostante.



Finalmente pronti alla cena e mentre viene servito l’appetitoso antipasto, prendono la parola il Dott. Scravaglieri, presidente dell’associazione, il sindaco di Taurasi Antonio Buono, il sig. Inglese Raffaele enologo di molte cantine del circondario, a seguire il presid. della Proloco di Taurasi, Palermo Antonio e l’inviato del Corriere del Vino.

Tutti gli interventi sono all’insegna dei saluti e della cordialità.
Quando le parole finiscono è chiaro il clima di amicizia, di curiosità, e di collaborazione che si è instaurato tra i presenti.
L’appetitoso antipasto di cui prima si parlava(affettati irpini, crostini caserecci, frittatine ai tre sapori, delizie dell’orto, ricottina con olio e pepe nero ed una strepitosa zuppa delicata) viene saggiamente accompagnato dall’Aglianico base, annata 2005, della Cantina Sella delle Spine di Luigi Caggiano.




Questo vino , che è poi il base dell’omonima cantina, è una buona apertura alla serata.
Come primi vengono serviti i Cicatelli lardiati con ruchetta selvatica e scaglie di parmigiano e le Rosette allo speck e fontina in salsa profumata ai porcini.
Le portate non hanno nessun ingrediente in comune e neanche i piatti con cui vengono serviti hanno la stessa forma, ma…Sono sapori veri di questa terra.
Buoni, avvolgenti, caratteristici.
In particolare i Cicatelli sono una delizia meritevole di essere assaggiati almeno una volta nella vita.



Ad accompagnarli con la dovuta “attenzione”ci pensano due calici premiati: il Taurì di Antonio Caggiano,annata 2005, e il Taurasi Riserva 2003 della già citata cantina Antica Hirpinia.
Meno strutturato il primo che si presenta docile e gradevole al palato, piu’ consistente il secondo che non fa soffrire la pesantezza dell’esser riserva, ma riesce a sposarsi bene con i sapori.
Con l’invitante secondo piatto composto da spezzatino di cinghiale selvatico con contorni vari arriva sulla tavola, anzi nel bicchiere il pluripremiato Taurasi, annata 2003, macchia dei Goti di Antonio Caggiano.
E se su quest’ultimo basta dire che la bontà del prodotto è logicamente proporzionata alla sua fama, sullo spezzatino due parole bisogna aggiungerle.
Non so se la Pino Camarro Event ne faccia il suo cavallo di battaglia, come più’ volte sentito echeggiare nella sala, ma il piatto è veramente molto buono.

A metà della pietanza…cambio dei calici ed entrata in scena dell’ultima D.O.C.G. della serata.
Si tratta del Taurasi, annata 2003, di Sella delle Spine, l’azienda di Luigi Caggiano.
Un vino con una buona struttura e, riconosciuto un po’ da tutti, dall’altissima potenzialità negli anni a venire.
Il giusto “fuoco d’artificio” che, enoicamente parlando, chiude la cena.
Parliamo di un vino che risente un po’ del poco affinamento in bottiglia, ma che lascia intravedere risultati importanti di qui a qualche anno.
Spero che il produttore, presente nella serata, sappia coltivare la passione che anima questa produzione e sappia gestire il patrimonio che si ritrova tra le mani.
Prima dei saluti una cascata di Mpepatelli, dolci tipici di Taurasi, e una valanga di alta pasticceria accompagnata da un freschissimo Limoncello della Costiera Amalfitana.

Una serata gradevole per tutti gli ospiti e da ricordare per il clima che subito si è instaurato.
Il signor Caggiano, produttore, e il signor Inglese, enologo, non si sono lesinati nelle spiegazioni e hanno dedicato agli ospiti ulteriori attenzioni riguardo l’aspetto principale della serata che è sempre rimasto quello enologico.

Personalmente ho trovato simpatico ed animato di lucide e serie intenzioni Luigi Caggiano ed esperto e completamente perorato alla causa Inglese.
Ad entrambi porgo i ringraziamenti per la pazienza e la cordialità con cui mi hanno fatto capire e respirare subito “l’aria Irpina”.
Ad essi rinnovo l’invito di continuare sulla strada che hanno intrapresa: quella della qualità del prodotto sopra ogni cosa, quella del rispetto della natura, quella del rispetto per il potenziale cliente, quella dell’orgoglio di “fare” un prodotto tipico, buono ed originale senza tagliare le radici con una storia, un territorio ed una cittadina che non ha niente da invidiare a Borghi, italiani e stranieri, di alta fama.
La strada è tracciata, l’interesse c’è, ne sono una prova gli Enogastrofili, se non mancheranno risorse e volontà…i risultati potrebbero essere migliori di quelli che oggi s’immaginano.


Marco.

mercoledì 25 giugno 2008

Melmo Pos.



Mercoledì 18 giugno si è svolta una bella serata a degustazione chiamata scherzosamente "MELMO LIVE" - degustazione che non si muore nè di fame nè di sete" da Marco che ha coinvolto, oltre a me e Roby, anche tutto l'ufficio (per questo l'ho chiamata Melmo Pos).
Sostanzialmente una trasferta del Melmoday, visto che le procedure utilizzate sono state le stesse.
Hanno partecipato, in rigoroso ordine di posti a sedere a partire dalla mia destra: Marco, Fausta, Daniela, Claudia, Matilde, Valentina, Andrea, Alessandro e la mia dolce metà. Alla fine della serata ci ha fatto l'onore di venirci a trovare anche Alessandra (non so come sia riuscita ad entrare... avevo sbarrato la porta).


Tutto il cerimoniale del Melmoday è stato rispettato: bottiglie coperte con carta stagnola, schede di valutazione Melmo, scelta casuale delle bocce e, last but not least, nella conta dei voti, scarto del voto più alto e di quello più basso. Forse nella spiegazione sono stato un poco noioso, anche perché pensavo di essere assistito dal buon Marco, che sul vino la sa lunga vista la sua cantina che un giorno l'altro svuoterò.
Ma lui si è limitato a un centinaio di domande... :)


Ben 7 i vini degustati, 4 piemontesi, tutti dell'azienda Demarie, un pugliese, un toscano e un abruzzese. Per la precisione:


  • Demarie - Nebbiolo d'Alba 2005

  • Demarie - Roero 2005

  • Demarie - Barbera d'Alba 2005

  • Demarie - Dolcetto delle Langhe 2006

  • Castelli del Grevepesa - Chianti DOCG Pontorno 2004

  • Quercia del Colle Ducale - Montepulciano d'Abruzzo 2003

  • Cantina Sociale di Nardò - Nardò Rosso 2005




  • L'ultimo, purtroppo è andato a farsi benedire, poichè era abbondantemente marsalato. Andrea, che l'ha portato, dovrà farci riprovare!
    Alcune note sparse sugli altri. I vini della Demarie erano forse un po' giovani, anche se il potenziale in alcuni c'era.
    Il Nebbiolo, che è stato anche il primo degustato, non ha sfigurato affatto: eleganza e persistenza c'erano. Anche qualche spigolosità, specie sul tannino. Di contro il Dolcetto non mi è piaciuto molto: troppo alcool e per nulla complesso, e si che lo danno come un vino in gran crescita. In effetti ad alcuni, ad esempio Valentina, è piaciuto molto quindi trattasi di un giudizio puramente personale. La Barbera così come il Roero, li ho trovati meglio al naso che al gusto: evidentemente ancora dovevano maturare un pochino. E' vero pure che tutti i vini sono stati stappati e bevuti nel giro di poco, forse andavano anche aerati un poco.


    Per quanto riguarda il Montepulciano, è un vino che ha messo d'accordo quasi tutti: come di regola accade per questo vino abruzzese. Il colore è proprio bello: un bel granato intenso.
    Al naso è moderatamente ampio e sicuramente intenso. In bocca, la struttura è buona, meno la qualità che perde un pochino.


    Infine il Chianti: Castelli del Grevepesa è una grande azienda, autrice tra l'altro del famoso Chianti Classico Clemente VII.
    Il vino secondo me ha però qualche limite e penso che sia quello che ha risentito di più del poco tempo tra apertura e degustazione. In realtà non sono un grande amante del Chianti, che trovo esageratamente sopravvalutato. Tuttavia riconosco che è un vino piacevole in una zona dove obiettivamente se ci pianti un cactus e ci fai il vino viene bene comunque. E a questo vino a mio giudizio è mancato qualcosa: quella semplicità e quell'immediatezza che contraddistinguono il chianti. Al naso, faceva comunque la sua figura ma al gusto è nettamente calato, squilibrando tutto.


    Durante la serata non tutti i degustatori resistevano alla selezione naturale generata in parte dallo sfiancamento della giornata lavorativa, in parte dall'orario e in parte dalla carenza di mezzi pubblici. Comunque, nonostante l'arrivo di Alessandra (senza gianduiotti...), la serata trascorreva allegra tra un voto e una bicchierata.
    Alla fine si sistemano i conti anche se la stanchezza è tanta e allora il calcolo viene rimandato. Vi do io la classifica ufficiale finale:

  • Montepulciano

  • Roero

  • Nebbiolo

  • Barbera

  • Chianti

  • Dolcetto

  • Che vi piaccia o no, questo è il risultato delle urne e tanto basta!
    L'importante, come sempre nella Filosofia - Melmo ben illustrata al consesso da Roby, è che siamo stati bene, che ci siamo fatti due risate e che qualcuno è uscito dalla serata sapendo qualcosa in più sul vino.


    Stefano.

    martedì 24 giugno 2008

    Flash enoici Marchigiani...

    Di ritorno da un fantastico week-end Jesino (ma quando mai ne ho passato uno brutto in quel postaccio?), vorrei dedicare questo post per descrivervi le miscele enoiche tracannate nei due giorni.

    Cominciamo con una new entry per me, con questo bianco del Coppo della Tenuta Leopardi.
    Un Sauvignon del 2006, dall'ottimo rapporto qualità\prezzo, che mi ha impressionato positivamente pur non avendo nulla a che fare con il Verdicchio, vino di casa.
    Abbastanza "robusto" è andato giù..."'na favola" durante il pranzo.
    Fresco, vivace, beverino ma non eccessivamente.
    Buono soprattutto per pranzi estivi improntati ad una cucina raffinata, ma tendenzialmente non molto elaborata.



    Mezza bocca e mezza delusione per il Verdicchio Classico dei Castelli di Jesi della Moncaro Le Vele, anno 2007.
    Eccessivamente lavorato e commerciale si dimostra assolutamente anonimo.
    Lo bevi ed un attimo dopo lo hai dimenticato.
    Sul mio giudizio pesa notevolmente il fatto che i miei due pusher di Verdicchio (La premiata ditta alcolica Marco&Emanuela)in questi anni mi hanno fatto bere i migliori Verdicchi in circolazione.
    Premiando non di rado fantastiche produzioni di nicchia che poco hanno a che vedere con bottglie di questo tipo, estremamente accostate al commerciale spinto.
    Il "Le Vele" da forte l'impressione di essere un vino per tutti, che non fa contento nessuno.



    Buona è l'idea invece per questo Rose'che fa bene le veci dell'aperitivo.
    E' il Gran Lasco, un vino spumante Brut Rosè della Monte Schiavo.
    Sapore contrastante, ma gradevole.Aspretto...un po' ruffiano, da bere fresco, molto fresco.
    I padroni di casa mi hanno parlato di questa bottiglia come di un esperimento della casa produttrice.
    Direi che siamo sulla strada giusta e che con i dovuti e necessari piccoli accorgimenti, il futuro sarà roseo come il colore del vino.



    A chiudere i dovuti, e sentiti, ringraziamenti a chi ogni volta si dedica pazientemente alla ricerca di "emozioni enoiche diverse" da offrire ai gitani.



    Marco.

    lunedì 23 giugno 2008

    Continuiamo a riderci su...

    Come si dice a Roma: "ariconsoliamoce co l'ajetto...". :P

    Viva il vino bianco.



    Da Agi:



    Un pubblico di settore - composto da esperti, enologi, giornalisti e appassionati - ha premiato la manifestazione 'Tutti i colori del Bianco' tenutasi a Monteforte d'Alpone, dal 9 all'11 maggio e curata dal Consorzio Tutela Vini di Soave. L'evento, nato tre anni fa, fin da subito ha assunto la valenza di un forum nazionale dedicato al vino bianco italiano. Quasi 3000 le bottiglie provenienti da tutta Italia e messe in assaggio quest'anno, coinvolte tutte le regioni italiane, 160 le cantine presenti, 35 i territori a denominazione rappresentati, 350 i vini selezionati. Unanime la posizione raggiunta da quello che a buon diritto si puo' definire il club dei bianchi d'autore riunitosi in una sorta di grande laboratorio a Monteforte d'Alpone: longevita' nei vini bianchi intesa come lentezza, da cui il concetto di Slow White, di bianco lento, oggi una realta' con forti potenzialita' anche per il futuro se supportata dal concetto di Cru. Una linea da sempre sostenuta dal Consorzio del Soave, come ha sottolineato il Direttore Aldo Lorenzoni, rafforzato nel credo che da anni sta guidando gli oltre 80 soci produttori, secondo il quale "e' indispensabile che ci sia coerenza tra vitigno e suolo, costanza, condivisione e consistenza: insomma, se penso ai 7mila ettari del Soave posso ragionevolmente pensare anche a decine di cru, vale a dire vini in grado di raccontare storie uniche e diverse".
    In base a recenti dati presentati dall'Istituto per il Commercio con l'Estero (Ice) le esportazioni di vini bianchi italiani nel 2007 sono cresciute del +6,6%rispetto all'anno precedente, mentre in dettaglio emerge che nel 2007 l'export di vini bianchi di territorio e' aumentato del +7,3rispetto al 2006, accanto ad un +5,3% sempre nello stesso anno nelle esportazioni dei vini bianchi prodotti in regioni determinate.
    Se in piu' sono longevi, sono il mezzo per far capire al consumatore quanto un bianco possa esprimersi al meglio con l'attesa. I primi a capirlo sono stati alcuni lungimiranti ristoratori che chiedono bianchi imbottigliati quattro anni fa".



    Ecchevelodicoaffà? A me i bianchi piacciono tantissimo e al diavolo che si perde nell'eterno confronto con i rossi. Ogni vino al posto giusto, purchè sia buono.



    Stefano.

    sabato 21 giugno 2008

    Il coro ottava nota in Concerto

    Sabato 28 giugno 2008, alle ore 19.30, nella chiesa di San Marcello (piazza San Marcello a Roma) si svolgerà il Concerto per il X° anniversario della fondazione dell'associazione Musicale "Concentus Vocalis". Saranno presenti:



    CORALE "OTTAVA NOTA" della
    ASS. MUSICALE dei CASTELLI ROMANI
    M° del coro
    Fabio De Angelis



    CORO "CONCENTUS VOCALIS" - ROMA
    Orchestra "MUSICI
    LIRIENSES" - SORA (FR)
    violino Loreto Gismondi, oboe Sandro
    Marchetti
    clavicembalo Paola Selci
    soprano Oxana Nagornova
    controtenore
    Mario Bassani
    direttore Corrado Fioretti



    Il programma prevede brani del repertorio di Vivaldi e Mozart.

    1) Mozart:
    AVE VERUM CORPUS K618 per coro e orchestra
    LAUDATE DOMINUM K339 per soprano solo, coro e orch.
    TE DEUM LAUDAMUS K141 per coro e orchestra

    2) Vivaldi:
    CONCERTO per oboe e orchestra in do magg.
    CONCERTO "L’Estate" - da Le Quattro Stagioni
    GLORIA in re magg. RV589
    per soprano e controtenore soli, coro e orchestra.

    L'ingresso è libero e la certificazione di qualità è del Melmo!

    Stefano.

    venerdì 20 giugno 2008

    Boom del vino italiano in Usa.


    Da Agi News del 25 maggio

    Con un aumento nel valore delle vendite del 7 per cento e' boom per il vino italiano negli Stati Uniti anche nel 2008 nonostante le difficolta' provocate dal tasso di cambio Euro/Dollaro svantaggioso per le esportazioni.
    E' quanto emerge da una analisi della Coldiretti svolta in occasione dell'avvertimento delle Autorita' statunitensi sulla possibilita' di blocco agli arrivi di Brunello a partire dal 9 giugno, sulla base dei dati Istat relativi al gennaio 2008. Negli Usa si beve circa la meta' (45 per cento) dei vini rossi Doc/Docg della Toscana destinati all'estero con il Chianti e il Brunello di Montalcino in pole position secondo le elaborazioni Coldiretti su una indagine Nomisma sul posizionamento dei Vqprd (Doc/Docg) italiani nei principali mercati mondiali. Si evidenzia - precisa la Coldiretti - il costante e crescente successo di vendite del Brunello di Montalcino, indipendentemente dai recenti eventi che hanno riguardato l'indagine giudiziaria relativa ad alcuni produttori. Una situazione confermata dallo stesso Consorzio di Tutela secondo il quale il 'sold out' al 30 aprile 2008, e' stimato in oltre 4.480.000 bottiglie vendute, rispetto alle 2.510.000 del 2007 con un incremento del 78,5332a0er numero di pezzi tra mercato interno ed estero. Con un giro d'affari di oltre 120 milioni di euro, 247 produttori e sette milioni di bottiglie vendute ogni anno per il 62 per cento all'estero, il Brunello di Montalcino e' considerato - continua la Coldiretti - un simbolo del vino italiano nel mondo. Il 25 per cento della produzione totale di Brunello e' assorbito dagli Stati Uniti, seguiti dalla Germania (9 per cento), dalla Svizzera (7 per cento), dal Canada (5 per cento), dall'Inghilterra e dal Giappone (3 per cento).
    Una crescita si registra anche in mercati emergenti come sul fronte asiatico dove Cina, India e Corea hanno raddoppiato la domanda negli ultimi due anni. Si tratta di un patrimonio da salvaguardare e ci sono - sostiene la Coldiretti - le condizioni per superare l'attuale fase di incertezza con la trasparenza e ridare tranquillita' agli operatori e ai consumatori per evitare danni di immagine in un settore che svolge una funzione da traino per l'intero Made in Italy in Italia e all'estero.
    La rapidita' delle indagine in corso da parte della magistratura e' - conclude la Coldiretti - il miglior antidoto per chiudere le porte alla cultura del sospetto su un prodotto che rappresenta un patrimonio di immagine e reputazione del sistema Italia.

    giovedì 19 giugno 2008

    Guerrilla Cusine.



    Altro che ristoranti ambientalisti, etnici o di tendenza.
    L'avanguardia del movimento per la trasformazione della ristorazione di massa contemporanea appartiene alla Guerrilla Cuisine statunitense.
    Si tratta di un "movimento per la liberazione del gusto" nato un paio di anni fa ad Oakland, una cittadina della Bay Area di San Francisco, nel quartiere Rockridge. Lanciato per iniziativa di Jeremy and John Townsend, due fratelli californiani, con il nome di Ghetto Gourmet, per celebrare la cultura afroamericana del quartiere nel quale abitavano i due fratelli, il movimento ha visto la luce pressappoco negli stessi luoghi in cui una volta fiorivano le esperienze di ristorazione alternativa promosse dalle Black Panthers. Da qui adesso si sta diffondendo a macchia d'olio nel resto degli Stati Uniti. Di recente poi ha anche fatto il salto dell'Atlantico registrando adesioni ed eventi a Londra, Berlino, Parigi e Varsavia. Della Guerrilla Cousine fanno parte cuochi di tendenza che vogliono sfuggire alla pressione delle cucine dei grandi ristoranti e clienti che preferiscono l'atmosfera intima offerta dalla sala da pranzo d'una residenza privata, di un club letterario o d'un teatrino off a quella rumorosa dei ristoranti di grido. Sono ristoranti underground il cui indirizzo non è mai riportato nelle pagine gialle. Vi si accede per passa parola e, quasi come si trattasse di riunioni di carbonari, solo se si viene introdotti da un altro membro. Li hanno definiti gli Speakeasy del nostro secolo. E questo perché mancando di licenza finiscono molto spesso nel mirino delle autorità sanitarie. Ma a differenza di quelli del secolo scorso, fioriti durante il proibizionismo, non sono luoghi nei quali ci si abbandona al consumo di bevande proibite. Sono piuttosto esperienze di frontiera nelle quali si realizzano fusioni culinarie come se si trattasse di jam sessions musicali. Molto spesso, e non a caso, includono eventi letterari, letture di poesie, concerti di musica acustica, happenings pittorici e danze etniche.
    Costano poco, sui 30 o 40 dollari per un pranzo di quattro portate - che possono includere anche l'anitra impanata e le crepes di formaggio di capra - con vino incluso. Non hanno scopo di lucro e hanno luogo più che altro per celebrare il gusto del buon vivere.


    Qualche volta ai commensali viene chiesto di portare una bevanda o un piatto da dividere con gli altri invitati. Non solo. Consapevoli dell'impronta di carbonio che anche il consumo alimentare lascia sulla faccia del pianeta, quando possono, i membri di Guerrilla Cusine tendono a consumare verdure, vini, formaggi e carni di stretta produzione locale. E non si fanno specie di modificare il menu quando uno degli ingredienti non è diponibile localmente e non lo si può ottenere organicamente. I militanti ortodossi - non a caso il simbolo del movimento è una falce e forchetta - consumano esclusivamente cibi la cui produzione è stata resa possible dal 'live power', ovvero dall'impiego esclusivo della forza umana e di quella degli animali da tiro. "E' una specie di anti-ristorante", ha dichiarato Jeremy Townsend, che ha un passato di minatore al Polo Sud alle spalle. "L'esperienza del ristorante tradizionale sa di muffa, la gente rimane delusa e di sicuro non affascinata come gli succede quando partecipa ai nostri eventi". E il fascino non assale solo i bonvivant della tavola ma anche i cuochi dei ristoranti più famosi dell'area della Baia di San Francisco, come quelli di Chez Panisse - un ristorante reso celebre da Bill Clinton che non manca mai di farvi una scappata ogni volta che si trova nel circondario - di Mecca e di Firefly, due dei ristoranti più trendy della regione. Ci vengono alternativamente per esibirsi gratis ai fornelli oppure per assaggiare le creazioni di altri, come La Macha, una pizza in stile spagnolo concepita dai membri di Guerrilla Cuisine di Charleston nella Carolina del Nord. L'esperienza della Guerilla Cusine ha dei precendenti illustri nelle Paladares, i ristoranti underground di Cuba che sono stati poi riconociuti dalle autorità, e nei Si Fang Cai di Hong Kong, che sono conosciuti come le migliori osterie dell'isola. A rendere unica però l'esperienza statunitense è il suo aspetto egualitario. Non di rado infatti i partecipanti a chiusura serata finiscono col cantare, ballare e suonare assieme.
    Tra amici.


    Stefano.

    mercoledì 18 giugno 2008

    Falanghina dei Campi Flegrei 2006, Grotta del Sole.



    Non conoscevo la storia della falanghina dei campi flegrei e devo dire che è molto interessante. In sostanza, guai a parlare genericamente di falanghina accomunando questa a quella avellinese e del beneventano. C’è una differenza fondamentale: i campi flegrei, infatti, essendo terreno vulcanico post eruzione sono coltivato con l’antico sistema ossia senza innesto del piede americano.
    Il passaggio delle sostanze minerali dalla terra alla vite, quindi, non avviene per il tramite del filtro “americano” ma direttamente. Attenzione: questo non vuol dire, come ha giustamente fatto notare lo stesso produttore, che questa falanghina sia più buona ma semplicemente diversa. Io devo dire che l’ho trovata anche più buona.

    Venendo al vino, il suo colore è un giallo paglierino con un accenno di riflessi verdognoli. Al naso a bicchiere fermo si percepiscono una media ampiezza e una media intensità. Mela renetta acerba, pera dolce e ananas su tutto. A bicchiere in movimento il vino si evolve ma la sensazione dell’acerbo rimane. Tra i frutti si avvertono anche la banana e la pesca.
    In bocca avviene il meglio: grande freschezza acidica seguita da una corretta sapidità. Buona la struttura e buona la persistenza in bocca con un finale avvertibile sulla lingua leggermente amarognolo, ma con discrezione.

    Considerando il prezzo medio di 7,50 euro, direi che è un vino dall’ottimo rapporto qualità/prezzo e comunque, per le caratteristiche di cui sopra, direi che è da provare almeno per completare la gamma delle proprie esperienze.

    Aggiungo solo che mi incuriosisce questa azienda che grazie allo straordinario terroir sta portando avanti un interessante progetto di “archeologia enologica” riscoprendo o ridando la giusta attenzione a delle varietà cadute un po’ nel dimenticatoio come il piedirosso (sempre nell’area flegrea), il gragnano e il lettere (nella penisola sorrentina) e il lacryma christi bianco e rosso del vesuvio.

    Stefano.

    martedì 17 giugno 2008

    Fai il pieno dopo il fritto





    Da abagnomaria.it

    Che ne direste, a fine pasto, di chiedere al cameriere il grasso di cottura dei vostri alimenti per alimentare la vostra macchina?
    Alla ricerca di fonti sostenibili e non inquinanti di alimentazione alternative ai combustibili di origine fossile, un piccolo gruppo di ricercatori “ecologically-oriented” ha iniziato ad utilizzare olio vegetale e grasso riciclato dai ristoranti per alimentare le loro macchine, i loro furgoni e perfino i sistemi di riscaldamento domestici.
    Imprenditori, alcuni supportati da fondi pubblici, stanno dimostrando che le macchine possono essere alimentate da questi “combustibili” a basso costo, i quali sono una fonte già materialmente disponibile ed alternativa agli inquinanti carburanti fossili; un guidatore, Antony Berretti, è così favorevole a questa nuova tecnologia che ha passato gli ultimi 3 mesi guidando il proprio van della Fiat in tutta Europa, alimentandolo con olio esausto dei ristoranti: "Sogni di guidare per tutta l’Europa gratis? Carburante a costo zero?" è il suo intrigante slogan sul suo sito.

    Nel Massachusetts - come narra l’American Scientific - Greasecar Vegetable Fuel Systems crea kit di conversione per guidare macchine alimentate ad olio vegetale;l’azienda ha venduto circa 3500 kits durante i suoi otto anni di attività, raddoppiando le vendite negli ultimi 2 anni, con costi tra gli 800 e i 2000 dollari, rendendo altresì contenti i ristoranti, che così non devono più sostenere costi di smaltimento e verificando sensibili riduzioni di costo sull’alimentazione dei veicoli.La combustione di quest’olio è simile a quella del diesel, ma con emmissioni molto meno tossiche ed in perfetto bilancio globale di CO2, calcolando i consumi di questa negli impianti di produzione di olio; per ciò che riguarda il grasso di cucina, tramite i processi messi a punto dalla Fry-O-Diesel e dalla North American Biofuels, si riesce ad ottenere biodiesel dagli scarti, che una volta separati tramite trappole selettive dall’acqua, lavorandolo e standardizzandolo al fine di avere le stesse caratteristiche del diesel, ma con un determinante fattore in più, la biodegradabilità .
    L’unico problema che non renderà questi scarti una delle maggiori fonti di energia è la scarsa disponibilità di materia prima: è infatti stimato che, annualmente, vengano prodotti circa 2 milioni di tonnellate di grasso, che corrisponderebbero a 1,871 miliardi di litri di biodiesel o carburante per riscaldamento, corrispondenti al solo 1% del fabbisogno nazionale; in ogni caso, sebbene queste risorse siano minime, fanno ben sperare quanto a risultati per la ricerca di fonti combustibili alternative.

    lunedì 16 giugno 2008

    Arunda Marianna Talento Extra Brut.



    Ecco un signor spumante, signori! Giù il cappello di fronte a chi non ha nulla da invidiare ai migliori Champagne Francesi. Questo vino mi ha fatto una grande impressione. Peccato che l’azienda produca circa 100.000 bottiglie l’anno di vario genere e che questo spumante fino ad ora non l’ho trovato dai miei pusher personali.
    Il vino proviene da un assemblaggio di Pinot Nero 20% e Chardonnay 80% provenienti da vigneti altoatesini e situati in Alto Adige nella zona di terlano, cornaiano e salorno che tanti vini bianchi di classe ci danno. Quello che ho assaggiato io proveniva dalle annate 2001 e 2002, e la fase di lavorazione è diversa in base alla uve e al millesimo di provenienza. Per lo chardonnay è comunque utilizzata la fermentazione e maturazione in barrique per diversi mesi. La permanenza sui lieviti in bottiglia dura circa 4 anni.
    Il colore è un giallo paglierino con riflessi dorati e a volte verdognoli. Il perlage è stranamente poco intrigante. Il profumo è intenso e ampio; miele, mela acerba e matura, frutta esotica e frutta in confettura, crosta di pane e torroncino (non li ho sentiti tutti io, però una volta detti…).
    In bocca l’acidità è buona ma non forte, la struttura è ottima, la persistenza lunga con un retrogusto amarognolo.
    Costo medio 19,50 euro: da farsene mandare una cassa!

    Stefano.

    sabato 14 giugno 2008

    Harry Potter e l'ordine della Fenice.



    Allora?! Come va?! Spero che nel tempo che è passato dalla rece di Harry Potter e Il calice di Fuoco qualcuno si sia almeno incuriosito e se anche non è corso a comprare uno dei libri almeno abbia affittato il film (che fino a qui sono abbastanza completi, ma il libro è il libro)…..noooo?!?!
    Va be’ pazienza….vediamo se riesco a farvi andare con la rece di Harry Potter e l’Ordine della Fenice. Harry cresce e cresce anche il volume dei libri, siamo ad 807 pagine, ma credetemi se vi dico che alla fine ci si dice “ma come? Già finito? Noooo ancoraaaa!!!”

    La storia.
    Harry passa l’estate come tutti gli anni dagli zii, ma questa sembra essere addirittura peggiore delle precedenti. Il suo stato d’animo è pessimo dopo la tragica conclusione del Torneo Tre Maghi di qualche mese prima e come se non bastasse due Dissennatori (vi ricordate? Le ombre succhia-anima) attaccano lui e suo cugino. Harry, che per salvarsi usa la magia, viene processato davanti al tribunale dei maghi avendo contravvenuto ad una delle regole del mondo magico: non usare la magia fuori dalla scuola se non si è maggiorenni. Harry viene messo a conoscenza dell’esistenza di una società segreta chiamata Ordine della Fenice nata per lottare contro Lord Voldemort (ritornato l’anno precedente anche se il ministero della magia non ci vuole credere), i cui membri sono tutte sue conoscenze: i genitori di Ron, alcuni insegnanti di scuola ed ex insegnanti, il suo padrino Sirius Black - la cui casa è il quartier generale dell’Ordine – l’odiato prof. Piton e ovviamente il prof. Silente, il quale fa sì che il processo a carico di Harry si risolva per il meglio. Ma il legame che Harry ha con Lord Voldemort sembra essere particolarmente forte quest’anno. Harry cade spesso in una sorta di trance in cui vede e sente ciò che fa Voldemort – o forse ciò che lui vuole fargli vedere e sentire. L’anno scolastico passa tra l’ingresso di nuovi e importanti amici, una nuova insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, punizioni durissime, la creazione di un esercito, la cacciata del preside Silente dalla scuola, i primi amori, lezioni private per Harry, l’ingresso di personaggi strampalati e di personaggi cupi, le ribellioni di alcuni studenti e si conclude con una colossale battaglia al ministero della magia. Purtroppo i tempi sono cupi e per Harry questo anno scolastico si concluderà in maniera anche peggiore del precedente.

    Unica nota che posso fare sul quinto libro, forse maturata con il senno di poi, è come diventi evidente il fatto che il libro non è davvero più una storia per bambini. Il lato psicologico dei personaggi diventa sempre più complesso, i misteri si infittiscono e nascono anche laddove si pensava non ve ne fossero e la scuola diventa solo un luogo per le cose che accadono nell’Ordine della Fenice e non più IL luogo per eccellenza di Harry Potter. C’è molta più azione, ci sono battaglie, eserciti, ci sono i cattivi – quelli veri – ci sono dei ragazzi che crescono, che hanno bisogno di certezze, di sicurezze, ma che hanno coraggio, fedeltà e passione estremi.

    P.S. alcuni miei amici sono stati in “lutto” per qualche mese dopo la conclusione della lettura di questo capitolo del libro.


    Harry Potter e l’Ordine della Fenice, Salani Editore, prezzo 24,00 Euro.


    Emanuela.

    venerdì 13 giugno 2008

    Passione Italia...

    La storia comincia in una tarda mattinata assolata romana di due anni fa alla vigilia di Italia-Ghana.


    Una cartolibreria vicina al mio ufficio che non avevo mai visto prima e una voglia matta di cominciare il mio mondiale.
    Dovevo comprare un tricolore per esporlo sul balconcino di casa, niente lenzuolo enorme, solo un tricolore normale.
    Entro...a gestire questo microscopico localetto due signori anziani.
    Saluto e indico che vorrei "..quella bandiera."
    "Proprio quella ?" mi dice scherzando il proprietario e ride.
    Una battuta chiama l'altra, un parola tira l'altra, si parla dell'imminente match calcistico della sera, del mondiale da vincere, delle bandiere da ordinare "...solo se stasera mi convincono!"
    Insomma, miracoli di questa città e di come siamo fatti noi romani, in cinque minuti mi vedo offerti nell'ordine un caffee, un cappuccino e un bicchiere di Sprite "..perchè vedi, mi' fjo c'vra più' o meno l'età tua, ma sta in america e non je piace er calcio..Che tragedia!"
    Accetterò solo il bicchiere di Sprite...ma prima di uscire una promessa:"Con il sole o con la pioggia, ad ogni partita che giochiamo, prima passerò a comprare qualcosa..."
    Li la smorfia si fa più' dura e mi sembra di leggerci qualcosa tipo:
    "Ah regazzi', ma chi te credi de cojona ?"

    Ed invece...prima di ogni partita, a costo di far saltare commesse ed appuntamenti, sempre la visitina al negozio del vecchietto non è mai mancata.
    Un'altra bandiera, un cappello, due sciarpe, cinque o sei trombette e una serie di bandierine da giardino il bottino finale.
    Con il vecchietto che recitava sempre la stessa parte, succube come me e più' di me della stessa inossidabile scaramanzia.
    Io indicavo, dicevo cosa volevo e lui tra il serio ed il faceto:
    "Proprio quella ?"
    Poi le stesse identiche battute della volta precedente, gli stessi sguardi e l'immancabile offerta della busta viola dove mettere "la roba" che compravo.
    Condita, ovviamente, dal mio netto rifiuto..."Mejo che me la dai in mano!"
    Così fino alla conquista del mondo...e così fino ad oggi.
    Per il primo match contro l'Olanda non ho fatto il rito.
    Stamattina invece sono uscito cinque minuti prima, ho parcheggiato dove di solito parcheggiavo, sono entrato nella piccola cartolibreria ed ho detto:
    "...quella bandiera."
    Il vecchietto immobile dietro la cassa mi ha guardato e riguardato, vedevo che si sforzava di ricordare qualcosa, ha balbettato una o forse due parole e poi, sorriso a cinquanta quattro denti "Proprio quella ?"
    Mentre uscivo ho fatto finta di non accorgermi di nulla, ma ho sentito che diceva piano, piano alla moglie "Stasera non c'è storia...!"

    Speriamo che anche stavolta porti bene...



    Marco.

    Harry's bar fa sconti ai clienti Usa.



    Da Corriere.it del 7 marzo:

    La «voce amica» anche agli americani che varcano la soglia dell'Harry's Bar di Venezia. Detta così, sembra una boutade. Ma non scherza il patron, Arrigo Cipriani, mentre parla di sconti nella sua trattoria di lusso di calle Vallaresso, a pochi metri da piazza San Marco. «I cittadini che arrivano dagli States sono sempre stati i nostri migliori clienti», attacca. (Citazione obbligatoria: Hernest Hemingway era di casa all'Harry's quando regnava Giuseppe, il fondatore, e il figlio Arrigo aveva ancora i calzoni corti). Aggiunge: «Poiché quest'anno la stagione si prospetta, mettiamola così, un po' tranquilla, e il dollaro Usa sta andando a precipizio, ho pensato bene di favorire temporaneamente quella fascia di persone che ci apprezza e ci segue da tanti anni».
    Certo, la moneta debole degli Usa non penalizza soltanto il mitico locale veneziano. Gli americani, infatti, rappresentano il 20 per cento del movimento turistico del centro storico.

    Fatto sta che, secondo i pronostici, questo e il prossimo saranno anni magri, soprattutto per gli hotel a 4 e 5 stelle. Ma Cipriani aggredisce la crisi con spirito d'iniziativa. Ed ecco spuntare il cartello, in lingua inglese, sulla porta del suo ristorante.
    Liberamente tradotto, l'avviso dice: «L'Harry's Bar, nei confronti degli americani, vittime dei "subprime" (mutui ad alto rischio, ndr), ha deciso di elargire uno sconto speciale del 20 per cento su tutti i menù, augurandosi che il periodo di recupero sia breve». In altre parole, passata la buriana, si torna come prima. Cioè alla tradizione, che nello storico locale di Venezia, funziona così: c'è la lista con i relativi prezzi (piuttosto salati ma qui si respira l'atmosfera d'antan, lasciata da scrittori, attori, principi, nobildonne) dei piatti; classici (uno per tutti, il «carpaccio») e quelli del giorno. Al momento del conto, i comuni avventori pagano la tariffa piena; i veneziani e i volti conosciuti, invece, usufruiscono della cosiddetta «voce amica» — espressamente indicata nella ricevuta — che si traduce nel 20 per cento di sconto.

    E l'aggiunta del simpatico contorno di chiacchiere con Arrigo (spesso presente in sala), arguto conversatore. I ricordi, gli aneddoti, le nuove iniziative, la filosofia di Cipriani e perfino le schermaglie polemiche (attorno alla qualità della cucina, alle guide gastronomiche che danno bassi voti all'Harry's, ma, sia chiaro, il patron se ne infischia), fanno lievitare la serata. Con o senza americani. Ammessi, dall'altro ieri, nell'olimpo della «voce amica».
    Come stanno andando i ribassi? «L'idea ha molto divertito gli avventori del nostro bar — nota il patron —. E i primi sconti sono già stati applicati, tra la soddisfazione e lo spasso degli amici statunitensi». Per inciso, di solito si tratta di persone danarose, esenti dal complesso dei «subprime».

    Ma c'è anche il turista medio che, inseguendo la leggenda («Nel 1936, un giorno — raccontava papà Giuseppe — c'erano quattro re che mangiavano a quattro tavoli diversi») almeno una volta vuole sedersi sul trespolo del bancone, sorseggiando un Bellini, e poi accomodarsi al tavolo, dove il cameriere, sollecito, gli versa il vino e lo tratta come un habitué. Insomma, Arrigo che non è nuovo alle sortite/spettacolo (tempo fa, vestito da cinese, offriva confezioni di pasta artigianale con il suo marchio, invocando i dazi), anche questa volta si è messo sulla cresta dell'onda.
    «Mi hanno chiesto — scherza — se chiedo la carta d'identità per distinguere gli americani dagli inglesi. Non esageriamo! Se ci si sbaglia, amen: avranno lo sconto anche i cittadini del Regno Unito».

    Stefano.

    giovedì 12 giugno 2008

    L'enogastronomia tira il made in Italy.



    Da Agi:
    Dopo la moda e le auto, e' l'enogastronomia il settore piu' apprezzato dai giornalisti stranieri tra le eccellenze del Made in Italy. Ed e' il vino a guidare questa nuova tendenza. E' quanto emerge da una ricerca realizzata dall'Osservatorio giornalistico internazionale "Nathan il Saggio" che ha monitorato dal 1 gennaio 2007 al 15 aprile 2008 circa 49.800 articoli sulle principali testate internazionali riguardanti il nostro Paese, raccogliendone oltre 5.000 cha avevano come focus il Made in Italy. I dati sono stati presentati oggi a Milano nell'ambito della celebrazione dei 20 anni di Ornellaia, il vino piu' citato dalla stampa internazionale. Ospiti d'onore, il Premio Oscar Gabriele Salvatores, simbolo del Made in Italy nel cinema, e lo chef Fulvio Pierangelini, maestro dell'arte culinaria del nostro Paese. Sulla stampa internazionale, il settore dell'enogastronomia ottiene citazioni pari a quelle dei marchi storici dei motori, come Ferrari e Maserati, posizionandosi prima di altri comparti importanti come quello dell'arte e del design. Tra gli argomenti piu' citati, come prevedibile, conquista il primo posto la moda con 3.344 articoli. Solo a debita distanza il settore delle auto (490 articoli), subito seguito dall'enogastronomia (463 articoli). Quarto posto per le aziende (356 articoli) e, a chiudere, arte e design con 356 articoli. Indicativa la "Top 10" degli oggetti di culto "emergenti" per la stampa estera. Il profumo dello stilista di grido (18.16%) e' al primo posto, seguito dal cellulare griffato (15.365), con il vino (14.53%) che conquista il podio. Al quarto posto le due ruote, bici e moto (13.69%), seguite da occhiali (10.33%), viaggi (8.94%), abbigliamento sportivo (8.10%), bagno di casa (5.03%), intimo e costumi da bagno (3.91%), letto e materassi (1.95%). Questo e' il risultato, come ha spiegato Le Monde lo scorso 19 febbraio 2008, di un "boom dell'alta gamma promosso proprio dalla nuova borghesia che ha desiderio di elevare la propria posizione aggiudicandosi icone riconosciute come lusso dai nuovi standard di vita collettiva". Ricette, specialita' e piatti tradizionali hanno da sempre conquistato le pagine dei giornali stranieri.
    Anche in questo ambito, e' il vino a farla da padrone ottenendo il numero piu' alto di citazioni rispetto alle altre tematiche enogastronomiche Made in Italy (19.03%). Seguono i prodotti tipici (15.15%), le ricette (10.73%), chef e ristoranti (9.31%) e tour enogastronomici (7.82%). Curioso, infine, sapere che la stampa che parla maggiormente del nostro Made in Italy non sempre e' quella che ne parla meglio. E' la Francia a citarci di piu' (24,09%), seguita da USA (20,31%), Germania (19,91%) e GB (15,88%).
    Ma gli articoli che elogiano l'Italia provengono soprattutto dall'America, dalla Russia e dal Medio Oriente, nuovi mercati sempre attenti alle eccellenze italiane.
    Le altre nazioni europee si posizionano solo a meta' classifica.

    mercoledì 11 giugno 2008

    Almeno ridiamoci su...

    Copiando un'idea di Senza Panna (se no chi se l'abbozza...):

    Piemonte Doc Altalanga Ris.Montelera Brut Millesimato 2003.


    Un titolo molto lungo per un vino molto buono, quello che non t’aspetti. Non conoscevo affatto questa varietà del Martini che devo essere onesto ricordavo solo per l’Asti Martini (che non mi piace molto). Invece questo è un vino decisamente buono. Fa parte della linea Sigillo Blu, una linea di qualità che comprende oltre a questo vino, anche un Prosecco di Valdobbiadene, un Riesling dell’Oltrepò Pavese, e un Moscato d’Asti.
    Nasce da uve Pinot Nero (95%) e Chardonnay (5%) unicamente dalla vendemmia 2003. Parte della vinificazione avviene in serbatoi di acciaio e parte in barrique di rovere francese. La spumantizzazione avviene con una maturazione sui lieviti di almeno 30 mesi.
    Il colore è un dorato intenso con un fine e bel perlage. Il profumo denota una forte intensità e un bouquet ampio: miele, mela matura, frutta rossa, vaniglia, frutta secca.
    In bocca l’acidità e la sapidità sono intense, la struttura è piena. In bocca entra forte poi, quando sembra che stia per sparire, rimane finemente a lungo. Il retrogusto è leggermente amarognolo.
    Il costo medio è di circa 19,50 euro. Direi che nel suo genere è un vino decisamente interessante e da provare. Consigliatissimo!

    Stefano.

    martedì 10 giugno 2008

    Pigato “Le Russeghine”: tutto il profumo della Riviera Ligure

    Il Pigato, tipico vino dell'entroterra del ponente ligure, tra Imperia e Savona, divide il mondo. Sebbene l'enologia lo classifichi ufficialmente come variante del Vermentino, ad oggi nessuno è riuscito a convincere di ciò i produttori e gli appassionati, che continuano a considerarlo un vitigno a sé stante. E' pur vero che il Vermentino ha grandi capacità d'adattamento e ha mostrato di saper mutare in varietà, armonizzando la sua evoluzione con le caratteristiche pedo-climatiche del territorio.


    Esistono celebri interpretazioni del Vermentino incredibilmente differenti tra loro, ma nel caso del Pigato la verità è, forse, nel mezzo: se allevato altrove, infatti, non compaiono le “pighe” (da cui pigau), le macchioline sugli acini che stanno per giungere a completa maturazione. Comunque sia poco importa: il Pigato è un vino elegante, profumato, ottimo per le cene d'estate e per gli amanti delle cruderie. Se ne producono alcuni più austeri e strutturati, adatti ad un ulteriore affinamento in bottiglia, ed altri più freschi e di pronta beva, ma tutti hanno in comune una caratteristica: l'aroma fragrante della Riviera Ligure e le preziose mineralità di una terra che richiama con grazia la salsedine del suo mare.

    E i Pigato della “Azienda Agricola Bruna”, sei ettari nella splendida Valle Arroscia, nei dintorni di Albenga, raggiungono secondo noi uno dei picchi di eccellenza di una produzione complessiva di tutto rispetto. Ottimo il “Torrachetta”, molto classico, profumato e beverino, ma in modo particolare ci ha impressionato il “Le Russeghine”, degustato in annata 2006.

    Cristallino anche se sottoposto ad una filtrazione solo parziale, si presenta di un bel giallo paglierino intenso, luminoso. Annuncia i suoi 13% Vol con una consistenza non ostentata ma nettamente percepibile dagli archetti, ampi e pronunciati.

    Al naso stupisce per l'ampiezza del bouquet: una base fruttata, intensa di uva matura, su cui delicatamente s'innesta l'erbaceo, l'ortaggio, ma anche fiori d'acacia e di sambuco. Abbastanza persistente nel tempo, si aggiungono sentori di agrumi maturi e note di resina ed erbe aromatiche, di salvia e basilico.

    Al gusto è secco, sostenuto da una buona componente alcolica che lo rende morbido nonostante la decisa spalla acida: di medio corpo, scende avvolgente al palato, equilibrato, abbastanza armonico. In piena corrispondenza gusto-olfattiva tornano i frutti, l'uva matura, la pesca gialla, e i sentori di ortaggio, di peperone, di timo. Nella nota retrolfattiva spiccano i sentori di salvia e basilico... Gradevolissima nota minerale nel finale, sapida, con una sfumatura salmastra che vira delicatamente verso l'amaricante.


    Il Pigato Le Russeghine dell'Az. Agr. Bruna 2006 è un vino elegante e complesso, piacevolissimo nel bouquet olfattivo che ritorna in gran parte nel corredo gustativo. Raramente un “normale” Vermentino raggiunge queste vette di complessità, testimonianza di potenziale ulteriore evoluzione nel tempo. Questo magnifico Pigato, che nel solco della tradizione – viene prodotto da 35 anni – garantisce emozioni agli amanti del genere, ha tutta la fragranza e la freschezza che si chiede ad un bianco che sia anche di corpo e capace di offrire sentori strutturati e veramente interessanti.
    Viti di oltre 40 anni allevate ad alberello, con basse rese su terreni argilloso-calcarei di grande personalità, conferiscono a questo splendido Pigato un carattere e una complessità davvero non comuni. Sebbene pronto, può affinare per altri quattro o cinque anni, e si consiglia di berlo comunque ad un paio d'anni dalla messa in commercio.
    Perfetto con i primi piatti della tradizione ligure, le trofie al pesto, i pansotti alle erbette o ravioli di mare, si sposa in maniera ottimale con il pesce, alla griglia o in umido ma anche crudo in carpaccio, e con il coniglio stufato e le verdure ripiene tipiche della tradizione ligure. Va servito intorno ai 13/15° in calici a tulipano di media grandezza.
    In enoteca lo si trova intorno ai 10 euro.


    Pier Giorgio Paglia.

    lunedì 9 giugno 2008

    Antica Fratta, Franciacorta Rosè Brut Extra Dry.



    Non è male questo Franciacorta, ma mi aspettavo sinceramente di più. Antica Fratta è la linea superiore della Berlucchi, produce in 4,5 ettari circa 180 mila bottiglie l’anno tra Franciacorta e Curtefranca.
    Questo rosè nasce da una selezione di chardonnay (70%) e Pinot Nero (30%) di diverse zone della Franciacorta assemblate poi con vini base di altre annate (una cuvèe, insomma). In fase di spumantizzazione, vi è stata la maturazione sui lieviti di circa 24 mesi (per un totale di una trentina di mesi di lavorazione).
    Il colore è un rosato che tende al ramato: sostanzialmente il colore della buccia di cipolla. Il perlage è fine.
    Il profumo da note di mela rossa, pesca e fetta biscottata. In bocca una piacevole freschezza acidica e una decisa persistenza.

    Costo medio 19 euro, che per la provenienza direi che è sicuramente accessibile.
    Non mi sentirei però di consigliarlo, anche perché a quella cifra il brut di Cà del Bosco è senza dubbio superiore.

    Stefano.

    sabato 7 giugno 2008

    Un calcio al cuore, di Sergio Cragnotti.



    Si puo' voler bene ed aver desiderio di abbracciare uno sconosciuto ?
    Al di la di pareri emeriti d'illustri psiconalisti o pedagogisti, io dico di si.
    Sergio Cragnotti è stato, è e sarà il mio Presidente.
    Questo suo libro autobiografico non è soltanto la storia della grande Lazio, dei suoi trofei, delle sue sfide impossibili vinte.
    Ma è la storia di un uomo timido, che attraverso il saper ascoltare, il sapersi porgere, attraverso qualche iniziale delusione riesce a capire il "mondo" e a vincere le sue battaglie.Un uomo dotato di uno straordinario carattere, che alla fortuna di trovarsi nei momenti giusti ai posti giusti unisce la voglia di farcela tipica della generazone del dopoguerra.
    Dalle partite di calcio sotto al colosseo agli incarichi piu' prestigiosi dell'alto mondo finanziario italiano, è sempre lo stesso Sergio Cragnotti che tiene a bada istinti ed emozioni.
    Ma poteva l'Italia meritarsi una personalità così forte, così innovativa ?
    Poteva imparare qualcosa da una mente costantemente aperta al progresso economico, finanziario, al domani visto come sfida da vincere ?
    Certamente no.
    Nel paese dove tutto resta sempre uguale ed immutabile, dove tutto deve cambiare perchè nulla cambi, Sergio Cragnotti verrà lasciato al suo destino senza rispetto per le sue idee e le sue immense capacità.
    Lui capisce di aver fatto grandi cose soltanto quando una custodia cautelare ingiusta lo obbliga a rimanere chiuso tra le mura, senza raggi di sole, della sua cella.
    Li scrive questo libro fantastico, che ho comprato appena uscito e che solo ora, all'ennesima rilettura, recensisco.
    All'interno potrete trovare due ritratti di personaggi importanti per l'economia Italiana che sui libri di storia non verranno mai nominati:Gardini e Ferruzzi.
    Due pilastri che hanno provato a fare dell'Italia un paese ricco e benestante, ma che per vie traverse non hanno portato a termine.


    Vi copio-incollo alcune frasi che mi hanno colpito del libro, spero di non venir accusato di violazione di copyright...

    Fu proprio quel giorno che imparai a saper perdere, passo indispensabile per imparare a saper vincere.

    Ma ricco come certi personaggi conosciuti a San Paolo non sarei mai potuto diventare e questa certezza mi procurò piu’ sollievo che fastidio.

    Intanto mi sono rapato a zero, come qualche volta facevo da ragazzo per costringermi a restare a casa a studiare: oggi è una moda, ma all’epoca chi avrebbe osato uscire conciato così ?

    Io, piu’ calmo e razionale,cercavo di fare le cose nel modo piu’ semplice e piu’ efficace.Che ci riuscissi o no non importava, resta il fatto che rispetto a loro ero ben piu’ consapevole che quei giochi non meritassero in realtà piu’ impegno di quanto fossi disposto a profondere.

    E se finora mi ero illuso che all'ultimo momento le banche avrebbero comunque fornito il loro sostegno, quello sprezzante atteggiamento fece crollare le mie ultime speranze.

    Bandito come un lebbroso e tradito da coloro di cui mi ero fidato fino in fondo, oggi, in attesa del processo e nel poco tempo lasciatomi libero dalle mie beghe giudiziarie, mi occupo di un'azienda agricola che produce vino e un po' d'olio.













    Un calcio al cuore, Fazi editore, Prezzo euro 13,50.

    Marco.

    p.s.Se il mio Presidente passasse di qua e mi lasciasse un saluto, una frase, un appuntamento per una stretta di mano...sarei felicisssimo e avrei modo di ringraziarlo per tutte le emozioni che mi ha donato.

    venerdì 6 giugno 2008

    Olivar 2005 – Cesconi.




    Quest’azienda ha una storia vinicola lunghissima (dal 1751) ma solo dal 1995 vinifica in proprio e non più nella locale cantina sociale (dalle parti di Trento).
    E, in realtà, solo dal 2000 con delle strutture degne di questo nome. Il risultato, quindi, è secondo me ancor più interessante.
    Questo vino nasce da uve chardonnay, pinot grigio e pinot bianco assemblati solo alla fine di un processo di vinificazione che è differente per fermentazione alcolica e malolattica in base alle uve. Frutto evidentemente di una grande sapienza e di sperimentazioni accurate.
    Il vino, inoltre, è molto elegante perché esce fuori piano: sussurra, non urla.
    Il colore è un giallo paglierino con riflessi dorati. Al naso a bicchiere fermo si sentono con decisone sia l’ampiezza che l’intensità. Buonissime le note di mela golden, banana e frutta quasi caramellata. Anche vaniglia e frutta secca tostata non mancano. Col bicchiere in movimento il vino ringiovanisce con sentori di camomilla.
    In bocca ottime l’acidità e la struttura. Molto molto particolare la rotondità frutto dell’equilibrio che si instaurava fra la sapidità e la dolcezza. Anche il finale era decisamente intrigante. A tratti sembrava di assaporare un torrone e della frutta secca tostata.
    Il vino, in sostanza, mi è piaciuto molto. È anche un vino che si conserva più di 5 anni tranquillamente. Solo che il prezzo è un po’ altino, sui 19 euro circa.
    La notte dell’ultimo dell’anno ho assaggiato il 2004 che devo dire mi è piaciuto meno anche se veniva dopo altri cinque vini soprattutto dopo un pinot grigio molto fresco e fruttato che aveva riempito la bocca e gli entusiasmi. È durato poi troppo poco (sarà stato a tavola un quarto d’ora) per permettere quell’evoluzione che la complessità della vinificazione avrebbe meritato.

    Stefano.

    giovedì 5 giugno 2008

    Amarone della Valpolicella, Santa Sofia anno 2003.



    Un vino dal sapore autentico e caratteristico, ma anche straordinariamente equilibrato ed armonioso.
    Il mio vino migliore per venerdi 25 Aprile 2008, San Marco, bevuto in compagnia della mia famiglia.

    Dire che mi ha sorpreso sarebbe troppo, dire che si conferma su straordinari livelli di bontà ed affidabilità è scontato.
    Da considerare l'anno, 2003, che è stato uno dei migliori per l'amarone, in due ottiche: con il tempo sarebbe migliorato assai, ma già così era pronto per farsi apprezzare.
    Di sicuro uno dei migliori amaroni bevuti negli ultimi dodici mesi.



    Aggiungo solo che non so quanto sia il costo in enoteca perchè mi è stato regalato ed è piaciuto molto anche a mia moglie che di solito ha un palato molto,ma mollllllto fine .



    Marco.

    mercoledì 4 giugno 2008

    Antica Norcineria a Montecompatri.

    Chi mi conosce sa benissimo che molto di rado mi piace parlar bene delle poche cose che funzionano a Montecompatri.
    Ma se non facessi le dovute eccezioni, mi sentirei di trattar male il Paese dove sono cresciuto e vissuto per tanti anni e dove ancora oggi ho molti amici.
    L'Antica Norcineria è una di quella.
    Nel cuore della piazza principale del paese, appena alle spalle dell'Angelo minatore, che di Monte è il simbolo, c'è il negozio di Fabrizio.
    Ed è proprio lui che di giorno in giorno tira su la serranda, scatta dietro ai banconi ed ha sempre un ottimo consiglio su cosa e come preparare per far bella figura in tavola.


    Ve ne parlo con una certa nostalgia, perchè ritengo che "pizzicagnoli" come lui, nel valore-sapore vero del termine, stiano per scomparire.
    Ed invece sono e devono rappresentare la risposta del mangiar sano e genuino alla straripante globalizzazione del gusto.
    In piu' non stupitevi se il personaggio, perchè Fabrizio è "un personaggio" in senso buono, si lascerà andare a battute e suggerimenti e vi farà sentire subito a casa.
    Il clima non è quello di una gelida bottega, ma quello tipico e caloroso paesano.
    Quelle poche volte che riesco a passarci e mi trattengo un attimo vedo trattati alla stessa maniera il vecchio cliente un po' rompicoglioni e la signora impellicciata che , con aria glamour, compra mezzo chilo di coppa; il bimbo che chiede un euro di pizza bianca e il vecchietto che compra venti salsicce "pe la racia!".

    La lavorazione che da anni rappresenta il fiore all'occhiello di Fabrizio è quella del suino ed il bancone dove giornalmente dimorano le pietanze da lui preparate è sempre in bella mostra.


    Egli, norcino da tre generazioni, è costantemente alla ricerca di piccoli accorgimenti per migliorare, ove fosse possibile, la qualità della lavorazione.
    Mi verrebbe da consigliarvi qualche cosa in particolare...ma finisco per non farlo perchè ognuno possa provare quello che di piu' gli "sconfifera".



    Voglio aggiungere con piacere che nel piccolo spazio che rimane, tra prosciutti e tutto il resto,c'è anche un bell'angoletto per il vino, dove poter scegliere bottiglie interessanti insieme a sorprese enologiche sconosciute ai piu'.
    Da padrone di casa la fa, e non sarebbe giusto altrimenti, il Bianco monticiano e castellano, ma a braccetto è facile trovare anche una Falanghina, un Brunello, un Barolo e se siete fortunati un Gattinara.
    Il tutto, che ai nostri tempi va decisamente sottolineato, a prezzi umani, accessibili e qualche volta inferiori alla grande distribuzione.


    Di sicuro l'ampia scelta richiederà un po' di tempo per decidere, ma se non siete pronti a questo...se non avete tempo...se avete sempre qualcos'altro da fare.
    Questo Blog, questo post e questo splendido "negozietto" che oggi vi racconto, non fanno per voi !


    Marco.


    P.s.un ringraziamento al padrone di casa per la collaborazione che ha reso possibile questa interessantissima rece.

    martedì 3 giugno 2008

    Eliseo Bisol Cuvèe del Fondatore Talento Brut 2000.



    Ecco un grande di Valdobbiadene che non è un prosecco e che usa il metodo classico. Ovviamente fanno anche quelli nell’azienda Bisol (ha 65 ettari e un territorio famoso per quella produzione, vorrei ben vedere), ma questo vino è uno dei migliori spumanti mai assaggiati, insieme al Marianna di Arunda, ai Cà del Bosco superiori e al Testarossa di La Versa.
    Ne devo bere ancora, però questo lo consiglio anche se il prezzo (30 euro circa) non è dei più bassi.
    È una cuvèe millesimata di chardonnay (30%), pinot bianco (50%) e pinot nero (20%). Dopo la maturazione, che per il 25% avviene in barrique, la spumantizzazione avviene con permanenza di 48 mesi sui lieviti.
    Il colore è un giallo paglierino con riflessi dorati e qualche nota verdognola. Il profumo non è molto intenso ma è ampio, in particolare di frutta fortemente aromatica.
    In bocca l’acidità è media, morbidezza e struttura ottime e lungo finale.
    Il gusto è di frutta esotica.

    Stefano.

    lunedì 2 giugno 2008

    Perchè Melmo ? Viaggio alle origini di un sogno...

    La strada è buia, rischiarata solo dalla luce fioca dei pallidi lampioni.
    Pioggia persistente batte sulla cappotta della macchina che balza sui sanpietrini frascatani.
    E' inverno, precisamente l'inverno del 2005, fuori fa freddo ed è sabato sera.
    La data è impossibile da tramandare ai posteri...è uno dei tanti sabati sera in cui si è deciso di bagordare in qualche locale.
    In macchina Bob e Dona davanti ed io e Simo di dietro parliamo ormai da una decina di minuti.


    Il soggetto della discussione non è dove andremo a mangiare, ne cosa mangeremo, ma bensì una nostra esperienza fresca, fresca fatta in terra toscana,vecchia di qualche giorno, ma estremamente interessante.
    Il soggetto della discussione è una degustazione faraonica fatta a Montecatini Terme, nel bellissimo Hotel Giglio gestito da un forumista del gambero rosso Nicola.
    A quella degustazione eravamo andati in quattro: io, Simo, Stefano e Roberta.
    Per qualcuno di questi quattro fu la prima degustazione, per tutti una serata bellissima.
    L'opportunità di bere sua Maestà il Sassicaia, accanto ad altri nobili toscani, a Chianti giovani e "vecchi", a ritrovarsi insieme a gente mai vista prima , ma simpatica e vivace intorno ad un tavolo, intorno alle bottiglie, intorno a del buon vino.

    Un'esperienza che ci era piaciuta tantissimo e che avremmo voluto replicare al piu' presto.
    Così cominciammo ad informarci su come, dove, quando a Roma e dintorni, si potesse rifare qualcosa di simile.A che prezzo, in che orari, in quali posti.
    Difficile, se non impossibile, mettere tutti d'accordo.
    Difficile trovare data, luogo, e soprattutto prezzo che mettesse tutti d'accordo.
    Specialmente il lato economico era quello che piu' ci indisponeva: le prime cifre su cui c'eravamo fermati a riflettere erano altissime e assurde.
    Da li l'Idea...
    Incolonnati tra lamiere accartocciate di macchine che sbuffavano, Bob si gira e mi fa:
    "Ma perchè non ci organizziamo qualcosa tutta per Noi...?".


    ...azzo, vuoi vedere che il Bob pensiero aveva colpito nel segno ?
    Come abbiamo fatto a non pensarci prima ? Come è potuto accadere che non ci si è pensato già ?

    Sul filo del telefono la domenica seguente si seguirono accordi e soluzioni, furono abbozzate date, bottiglie, premi e pietanze, ma rimaneva un dubbio che nessuno si decideva a risolvere: come chiamare questo momento di aggregazione ?
    Trovare un nome gogliardico, carino, originale, ma allo stesso tempo solo Nostro era opera ardua e difficile.
    Andammo insieme indietro nel tempo:termini sballati usati in serata alcoliche, frasi struggenti pronunciate al calduccio di un drink di troppo, momenti vacanzieri ormai lontani, ma che davano ancora calore e risate....e proprio quando ogni speranza sfumava dietro a risate e malinconia...

    "Ti ricordi quel gioco che facevamo sulla spiaggia in Sardegna...quello delle quattro carte uguali da fare e poi di corsa la mano sul mazzo e chi arrivava ultimo pagava la penitenza?" era sempre Bob che inveiva a toni alterni e con alterne fortune.
    "Quello che ...perdevo sempre io, e voi tutti a ridere...come si chiama che lo voglio rifare in ufficio...Melmo ?"
    Tutti in coro:"...Ma no Andrea!...si chiama .."
    "Scusa che hai detto..?" tutti in coro "Meeeelmo ?"
    Fu un attimo e una decisione all'unanimità...il Nostro Sogno si sarebbe chiamato Melmo.


    E qualche tempo dopo sarebbe, addirittura, diventato un blog...


    Marco.